Il tatuaggio, da marchio infamante a vera e propria moda. Ecco la percentuale di tatuati in Italia

Il tatuaggio, da marchio infamante a vera e propria moda. Uno studio dell’Università di Pisa ne ripercorre la storia e i vari significati

Secondo uno studio raccolto nel volume “‘Sulla nostra pelle. Geografia culturale del tatuaggio’ (Pisa University Press, 2019)”, in Italia circa il 12,8% della popolazione sarebbe tatuata. Il dato è in linea con la media europea (12%), ma ben al di sotto degli USA dove i tatuati rappresentano circa il 30% della popolazione.

“Abbiamo cercato di capire – spiega Macchia, uno degli autori del libro – come il tatuaggio nelle varie epoche storiche sia stato usato per esprimere idee, concetti e opinioni per mostrare come questa forma di comunicazione sia cambiata nel tempo”, passando da emblema di ribellione o di appartenenza, marchio di infamia o segno magico ma pure accessorio di moda e simbolo di libertà.

Nel testo si scopre, per esempio, che nella Grecia e nella Roma antiche fu utilizzato perlopiù a scopi punitivi, per marchiare fuggiaschi o prigionieri di guerra. Col Cristianesimo, che ripudiava ogni forma di marchio sul corpo, perse invece la sua importanza, sebbene nel Medioevo dove, ironia della sorte, fu particolarmente in voga fra i pellegrini.

Più di recente il tatuaggio è diventato invece l’emblema dei grandi cambiamenti a partire dagli anni ’60 del Novecento: protagonisti in questo caso sono hippie, punk, biker fino agli skin-head, col tatuaggio diventato un marchio fortemente politico.

Numerose sono anche le personalità che hanno sfoggiato tatuaggi: si pensi a Winston Churchill che aveva un’ancora impressa sull’avambraccio; lo Zar Nicola II aveva un dragone sul braccio sinistro, mentre il presidente Roosevelt aveva tatuato sul petto il simbolo che rappresentava la sua famiglia.

Di seguito le foto di alcuni tatuaggi dei nostri tempi

 

 

 

 

 

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