La Turchia paga pubblicità di viaggi su Facebook e Twitter mentre attacca i curdi

Post sponsorizzati di vacanze in Turchia compaiono sui social network mentre Ankara invade il nord della Siria. E Facebook oscura le pagine pro-curdi

Un video di Go Turkey (da Youtube)
Un video di Go Turkey (da Youtube)

La campagna è partita nei primi giorni di ottobre. Mentre l’esercito turco avanzava contro i curdi nel nord della Siria, i social network sono stati invasi di post che sponsorizzano i viaggi in Turchia. Rovine di antichi templi greci, immersioni in acque cristalline e gattini in cerca di coccole (in pochi, si sa, resistono al richiamo dei gattini) hanno improvvisamente fatto capolino tra un post e un tweet. Firmato: Go Turkey, l’ente che promuove il turismo locale, braccio del ministero per la Cultura e il turismo di Ankara.

Pubblicità su Facebook

Solo su Facebook, in meno di una settimana, Go Turkey ha sponsorizzato (leggi: pagato per mettere in evidenza nelle timeline degli utenti) 590 post, destinati a 33 Paesi, come emerge dai dati raccolta dalla libreria inserzioni del social network. Dalla creazione della pagina, che ha circa 5 milioni di “mi piace”, nel febbraio del 2014 (come Turkey.Home), Go Turkey non aveva mai versato prima un lira per una campagna pubblicitaria su Facebook. Per cinque anni si è affidata a immagini di paesaggi mozzafiato e manicaretti, poi, una settimana fa, ha iniziato a pompare denaro nei meccanismi pubblicitari del social network.

Coincidenze? Wired lo ha domandato a uno degli amministratori della pagina, ma non ha ricevuto risposta. L’ufficio stampa dell’ente del turismo in Italia ha confermato che ci sono dei video promozionali nuovi su Youtube, ma non sa se siano parte di una campagna digitale, perché la regia è di Ankara. La risposta è sì, i video sono gli stessi. E il problema sono le tempistiche con cui questi spot sono stati sponsorizzati su Facebook. La sovrapposizione con le notizie dal fronte fa assumere ai post sul glamour di Istanbul o sull’arte ellenistica la sinistra sfumatura di un’arma di distrazione di massa.

Le inserzioni di Go Turkey sy Facebook (Facebook)
Le inserzioni di Go Turkey sy Facebook (Facebook)

I messaggi sono rivolti prettamente ai paesi europei, tra cui l’Italia (22 annunci, circa tre al giorno), Francia (22) e Germania (22), ma anche a Stati Uniti, che ritirandosi dall’accordo per uno stato curdo, hanno di fatto aperto la strada alle truppe del presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, Giappone e Canada.

A differenza delle inserzioni politiche, che espongono in chiaro l’importo investito e il pubblico target, le campagne pubblicitarie pure mantengono questi dati in coperta, per motivi di concorrenza fra gli investitori. Quindi non si sa (Wired lo ha domandato a Facebook, come ha chiesto conto del target, ma senza risposta) quanto Go Turkey abbia investito per questa campagna. I cui risultati, tuttavia, si leggono nei commenti sotto le foto: voci entusiaste e ammirate in maggioranza e scarse critiche o rari inviti a boicottare la Turchia, come stanno chiedendo in queste ore decine di gruppi per i diritti umani, sostenendo la causa del popolo curdo.

Pubblicità su Twitter

Su Twitter la situazione si fa ancora più complessa, perché non esiste un archivio delle inserzioni che, come su Facebook, raccolga tutti i posti messi in evidenza perché parte di una campagna pubblicitaria. Ci sono le testimonianze e gli screenshot di alcuni utenti, che si sono ritrovati i tweet sponsorizzati, e commenti molto più indignati sotto i post. Neanche in questo caso Twitter ha risposto alle domande di Wired su importo, capillarità e target della campagna. Né il social dell’uccellino né Facebook, inoltre, hanno fatto sapere se ritengono opportuno sospendere le sponsorizzazioni in questo periodo.

Censura contro le pagine pro-curdi

Mentre i social network incassano i fondi della propaganda di Ankara sulle bellezze del paese, e proprio mentre il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, sale in cattedra per sostenere la libertà di parola e condannare la censura cinese, vengono oscurate decine di pagine di gruppi, associazioni, organizzazioni non governative che sostengono la causa dei curdi. È successo in Italia, per esempio, al centro sociale Tpo e al collettivo Làbas di Bologna (che ha esposto un manifesto contro Erdogan, pubblicato sul nuovo profilo Facebook), ma anche all’emittente Radio onda d’urto di Brescia e al gruppo meneghino Milano in Movimento.

Alla radio bresciana Facebook ha notificato la cancellazione di dieci post, tra cui “alcuni relativi alla morte di Lorenzo Orso “Tekosher” Orsetti”, il giovane fiorentino morto a marzo a Baghouz mentre era impegnato come volontario nella campagna militare contro l’Isis. Ma il social network non ha chiarito le ragioni di questa censura, denunciato dai gruppi, né lo ha fatto a domanda specifica di Wired. Già in passato, come ricorda Vice, Facebook aveva oscurato pagine e gruppi a sostegno del popolo curdo e sempre senza esplicitare i criteri.

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