Mamma e bimbo morti a Lampedusa, non ne avevo bisogno per indignarmi

abbraccio lampedusa

È curioso come le stesse firme e le stesse testate che parlano a ogni occasione di fake news siano poi indifferenti alla verità dei fatti. C’è una spiegazione e sta nella passione militante che antepone una visione del mondo ai fatti. E se i fatti possono incrinare la teoria, bisogna cambiarli, o camuffarli o abbellirli. Avviene ogni giorno, in questioni come la situazione al confine fra Turchia e Siria, nei grandi interrogativi posti dai cambiamenti ambientali e, a maggior ragione perché tocca da vicino le nostre sensibilità, sulle tragedie dell’immigrazione. Prendete il caso dell’ultimo naufragio, quello che è stato chiamato “la strage delle donne”, a sei miglia da Lampedusa.

Credo che a renderci sgomenti avrebbe dovuto bastare il numero delle vittime individuate dai sommozzatori nel relitto in fondo al mare. No, qualcuno ha precisato che tra loro c’era un piccolo ancora abbracciato alla madre.

Una specie di maternità ultima e fatale, uno strazio. Non avevo bisogno di questo dettaglio per sentirmi offeso da questa tragedia, e dal suo essere simile a tante altre del passato, e dalla grande probabilità di essere simile ad altre future e dunque a una indegna normalità. Ma, avendo avuto esperienza diretta – purtroppo – di vittime ritrovate in mare dopo lo tsunami del sudest asiatico, mi sembrava strano quell’abbraccio – così spontaneo e tragicamente dolce negli ultimi momenti di vita – resistito per giorni alle correnti e alla morte.

Non ci volevo pensare, se non fossi stato obbligato a farlo da titoli, da generosi tweet, da un’emozione collettiva. Ora ci dicono che no, quel corpicino stava in mezzo a quello di altre vittime adulte, e solo un esame del dna ci dirà qual era la madre.

C’era bisogno di sceneggiare quel dettaglio? Non bastavano quelle morti per così com’erano, così innocenti e ingiuste? Tocca poi aggiungere un altro dettaglio, che si deduce dalla figura della sorella sopravvissuta di una delle vittime: venivano dalla Costa d’Avorio.

Un paese dove sono passati anni dall’ultima guerra civile, dove si è pacificamente votato nel 2015, dove l’economia è in crescita.

Certo: c’è povertà rurale, ci sono i problemi dell’inurbamento e della crescita demografica che ha visto quadruplicare gli abitanti in mezzo secolo. Certo non è una democrazia ateniese né il migliore dei mondi possibili. Legittimo che ci sia chi vuole andare verso l’Europa promessa. Raccontarla come una fuga dalla guerra, vestire di sotterfugio un sogno umano e comprensibile solo per evitare la legalità delle regole, è turlupinare noi stessi e non capire la dignità di quei sogni, trasformarli in comparse e numeri del nostro scandalizzarsi e commuoversi e confrontare visioni del mondo al riparo dai fatti.

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