Dalla parte di Chiara Ferragni e Fedez, le offese sui social devono essere punite

Ha destato grandissima indignazione la decisione della Procura di Roma, nelle azioni e nelle parole del pm Caterina Sgrò. Con la richiesta di archiviazione della querela di Chiara Ferragni e Fedez nei confronti di Daniela Martani, si è praticamente stabilito che una offesa sui social, un luogo frequentato da milioni di utenti e spesso popolato dagli istinti più bassi, non è da considerarsi come un fatto grave.

Se il pm avesse motivato la sua richiesta di archiviazione precisando che le parole di Daniela Martani, che definì “due idioti palloni gonfiati” i Ferragnez per la vicenda del party al supermercato, non costituiscono una offesa grave, non ci sarebbe da preoccuparsi. Il punto è che il pm ha in pratica detto che “il contesto dei social”, popolato appunto da “un numero illimitato di persone, appartenenti a tutte le classi sociali e di livelli culturali”, mette nelle condizioni le persone di “sfogare la propria rabbia e la propria frustrazione” in un modo da essere “fuori da qualsiasi controllo”. Per questo, considerato che i social sono “privi dell’autorevolezza” di cui può disporre una testata giornalistica o una tv, le offese hanno “scarsa credibilità”.

I legali di Fedez e Chiara Ferragni hanno, a giusta ragione, fatto opposizione all’archiviazione. Perché questa decisione può creare una pericolosa consuetudine. Non è possibile sminuire il coacervo di insulti social, che è spesso causa di problematiche gravissime soprattutto nei confronti dei più giovani, in questo modo. Chi vive quotidianamente sui social network, lo sa bene. Il terreno dei social non può essere senza legge. La richiesta di archiviazione, in questo senso, configura uno scenario apocalittico.

Le offese sono offese. Chi scrive su una tastiera, ha una identità ben precisa. L’autorevolezza, scarsa o fondata che sia, qui non conta. Gli insulti sui social, da Facebook a Twitter a Instagram, sono una peculiarità arcinota. La sensazione è che ridurne la percezione è un pericolo soprattutto per le generazioni più giovani, ormai assuefatte alla cultura dell’insulto. Serve un ripensamento. Serve un intervento della giurisprudenza.

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