Il giorno del voto in Emilia Romagna e Calabria. La maggioranza resta col fiato sospeso  

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Francesco Fotia / AGF

Giuseppe Conte e Nicola Zingaretti 

Mettere in campo quante più iniziative e provvedimenti possibile per scongiurare una fine anticipata della legislatura. Il voto regionale promette di avere conseguenze sui destini del governo e nella maggioranza la parola d’ordine è “fare”. Tra gli azionisti dell’esecutivo, infatti, c’è chi scommette che mettendo in cantiere quanti più provvedimenti possibile si potrà evitare lo scioglimento delle Camere, anche se in Emilia Romagna e Calabria il voto dovesse restituire l’immagine di una maggioranza nel Paese ormai diversa dalla maggioranza in Parlamento.

Risponderebbe anche a questa necessita’ l’accelerazione impressa dal governo all’approvazione del taglio al cuneo fiscale, ma anche il lavoro impostato (soprattutto dal Partito democratico) sull’agenda di governo. Non sembra un caso, d’altra parte, che il segretario Nicola Zingaretti abbia battuto in questi giorni sul tasto dell’efficacia dell’azione dell’esecutivo: “Questo governo è un governo parlamentare. Temerei per la sua tenuta se si cominciasse a non rispettare il programma. Il governo vive sulla capacità di cambiare le cose. Altrimenti vince la politica delle chiacchiere. Ma l’odio non si mangia”.

E ancora: “Noi dobbiamo continuare a chiedere una grande efficienza del governo: per la prima volta arrivano soldi a persone che non ce la facevano ad arrivare a fine mese. Quindi, si cominciano a raccogliere risultati, non bisogna essere pigri, bisogna continuare cosi'”. Il centrodestra, con Giorgia Meloni in testa, ha già annunciato che “se vinciamo, da lunedì chiederemo elezioni anticipate, andiamo a citofonare a Conte per dare a questa nazione un governo forte, serio e coeso”.

Ciò su cui il centrodestra punta è il cosiddetto “disallineamento” del consenso nel Paese e di quello in Parlamento. In pratica, se con la vittoria del centrodestra in Calabria e in Emilia Romagna si manifestasse una palese distanza tra la maggioranza rappresentata in Parlamento e quella rappresentata nel Paese il Presidente della Repubblica sarebbe legittimato a verificare la possibilità di dare vita a una maggioranza nelle Camere che rispecchi quella del Paese o, in alternativa, sciogliere le Camere e indire nuove elezioni politiche.

Questo, però, solo se lo ritenesse utile al Paese. Ma con il governo impegnato a risolvere pratiche delicate, come quelle sulle crisi industriali di Ilva e Alitalia, e capace di portare a casa risultati, come è stato per la manovra e per la legge elettorale, il Presidente Mattarella – è la speranza di governo e parte della maggioranza – potrebbe dare qualche chance in più all’esecutivo.

Nel Partito democratico, al momento, si rimane concentrati sui rapporti con gli alleati. L’addio di Luigi Di Maio è stato accolto senza grande apprensione, convinti che i rapporti con i Cinque Stelle non subiranno scossoni: Vito Crimi rappresenta, infatti, la continuità e i rapporti con gli esponenti M5s al governo, a cominciare da Stefano Patuanelli, sono ottimi.

I Cinque Stelle, dal canto loro, non hanno nulla da guadagnare ad alimentare tensioni, specie in un momento di riorganizzazione come quello che stanno vivendo. Ciò che infastidisce di più i dem è invece l’atteggiamento di Italia Viva. Matteo Renzi non esita a prendere le distanze dall’esecutivo ogni qual volta se ne presenti l’occasione, osserva un parlamentare dem preoccupato da quella che definisce “una spasmodica ricerca di visibilità” dell’ex segretario Pd. L’ultimo “incidente” tra i due partiti è stato sul cosiddetto Lodo Conte che avrebbe rappresentato per i dem “un’ottima soluzione” della diatriba sulla prescrizione. Renzi, mentre gli esponenti dem già festeggiavano, ha ‘stoppato’ l’accordo sollevando dubbi di costituzionalità. 

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