Coronavirus, meno infezioni tra i bambini

 

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Gli scienziati continuano senza sosta a studiare il nuovo coronavirus, per cercare di tenere sotto controllo l’epidemia che ha ormai raggiunto oltre 28mila casi di contagio confermati (98.9% in Cina) e circa 560 decessi. E tra le tante domande che ancora non hanno trovato risposta ce n’è una che riguarda i più piccoli: perché così pochi bambini sono stati infettati dal 2019-nCoV? Infatti, da quando l’epidemia è stata segnalata per la prima volta il 31 dicembre scorso, il numero dei bambini che si sono ammalati finora è davvero bassissimo. Ad aver evidenziato già questo mistero ancora irrisolto era stato uno studio pubblicato il 29 gennaio sul Journal of Medicine del New England, secondo cui “i bambini potrebbero avere meno probabilità di contrarre il virus o, se infetti, potrebbero mostrare sintomi più lievi rispetto agli adulti”.

Secondo uno studio appena pubblicato su Jama l’eta media dei pazienti si aggira intorno ai 49 e i 56 anni di età. E finora, i casi di contagio tra i bambini sono stati sporadici: ricordiamo, per esempio, una bambina di 9 mesi a Pechino, il figlio del primo caso di contagio confermato in Germania e un bambino a Shenzhen, in Cina, che sebbene ammalato era asintomatico. Mercoledì scorso, inoltre, le autorità cinesi hanno confermato che un bambino nella città di Wuhan, focolaio dell’epidemia, è risultato positivo al virus 30 ore dopo la sua nascita (anche la madre è risultata positiva).

Per la maggior parte dei bambini, quindi, il coronavirus non sembra avere un effetto così potente. Un dato positivo non solo per la loro salute ma anche per l’intera popolazione, in quando i più piccoli prestano meno attenzione nel seguire comportamenti corretti, come lavarsi con regolarità le mani, coprirsi la bocca, ridurre il contatto con altri, ed evitare perciò la diffusione del virus. “Da quanto abbiamo osservato, e per ragioni che ancora non ci sono chiare, sembra che il virus abbia un impatto soprattutto sugli adulti”, ha spiegato in un’intervista a Business Insider Richard Martinello, della Yale School of Medicine. “Alcuni dei rapporti che sono usciti provengono da ospedali per adulti e non da ospedali pediatrici, ma potrebbe essere che non ci siano arrivati ancora questi dati”.

Ricordiamo, inoltre, che un discorso simile era già stato fatto per la Sars, epidemia che nel 2003 ha colpito oltre 8mila persone, di cui solo 80 (e 50 sospetti) bambini. Secondo un rapporto uscito nel 2007 degli statunitensi Centers for Disease Control and Prevention, infatti, i bambini di età pari o inferiore ai 12 anni presentavano sintomi più lievi rispetto agli adulti. Inoltre, nessun bambino o adolescente era deceduto a causa del virus e c’era stato un unico caso in cui un bambino aveva trasmesso la Sars a un’altra persona.

Ma ancora oggi la scienza non è riuscita a fornire una spiegazione. Tra le ipotesi più accreditate, finora, c’è quella che i bambini siano meno esposti al coronavirus oppure che ci sia qualcosa di diverso nel modo in cui i più piccoli rispondano all’infezione del virus. “Suppongo che i pochi casi di bambini segnalati siano dovuti al modo in cui è iniziata l’epidemia”, ha spiegato Business Insider David Weber, dell’Università della Carolina del Nord. “Non ci sono molti bambini che vanno al mercato del pesce”. Luogo in cui, ricordiamo, si ipotizza essersi verificata la prima trasmissione del coronavirus da un animale all’essere umano.

Tuttavia, sottolineano gli esperti, rispetto al coronavirus la minaccia più imminente per la maggior parte dei bambini di tutto il mondo è l’influenza. Secondo i Cdc, infatti, i bambini sotto ai 5 anni di età sono ad alto rischio di sviluppare gravi complicazioni, come polmonite e insufficienza respiratoria e renale. “Le persone dovrebbero essere al momento molto più preoccupate per l’influenza e altre malattie respiratorie o virali”, ha spiegato Weber.

Via: Wired.it

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