Le emoji stanno sostituendo le parole sui social network?

Il fenomeno dei chain text, rebus composti da linguaggio scritto e “faccine”, mostra un’evoluzione del modo di esprimersi in rete

foto: pixabay

Frasi composte da parole, che sono un mix di lettere ed emoji incastonate tra loro in strani giochi linguistici. A una prima occhiata ricordano i rebus. Negli Stati Uniti, dove la moda è nata, li chiamano chain text, messaggi a catena, visto che si usano soprattutto nelle catene di Sant’Antonio di cui sono gli eredi ultimi. Ma lo sono anche del linguaggio semplificato, che ha cominciato a prendere forma con la diffusione degli sms negli anni Novanta. Con una x al posto del per. Una moda passeggera? Forse: ma i giovanissimi che amano le semplificazioni e i linguaggi in codice allo stile dei chain text potrebbero regalare l’eternità. Dunque aspettiamoci di ricevere presto qualche rebus da decifrare via Whatsapp.

Del resto serve solo un po’ di immaginazione per creare parole ibride da infilare in messaggio. Negli Stati Uniti di recente ci sono riusciti persino con impeachment, come ha raccontato The Atlantic, sostituendo l’emoji di una pesca alle lettere p-e-a-c-h. Twitter e i forum di Reddit traboccano di altri esempi, quasi sempre di messaggi da inviare ad “altre 10 persone altrimenti…”. E anche nei gruppi Telegram e Whatsapp ne circolano un po’, non esenti da volgarità.

Un linguaggio empatico

Quando l’emoji non sostituisce una parola per assonanza (come la pesca di impeachment), può infatti sfruttarne le metafore recondite, come per esempio attribuire a un ortaggio il significante dell’organo di riproduzione maschile. Altre volte l’emoji segue la parola che lo traduce quasi a volerne rafforzare il valore, come quando il simbolo degli occhi segue l’imperativo “guarda qui”. Ma quale che sia lo stile, in un dialogo scritto l’effetto è sempre dirompente, perché come ci hanno spiegato i neuro-scienziati il linguaggio simbolico degli emoji genera più empatia della nuda parola.

I primi messaggi a catena che mixano parole ed emoji sono apparsi attorno al 2015 sui social anglosassoni, sfruttando la permeabilità della lingua inglese ai giochi di parole. Da lì è stato un crescendo. In Italia il fenomeno è ancora di nicchia, ma potrebbe esplodere presto.

Ne Il Digitaliano, saggio pubblicato nel 2019 da Franco Angeli dove alcuni esperti illustrano cosa sta succedendo alla nostra lingua, dopo aver sciacquato i panni in internet, si legge: “Pensare la scrittura digitale come complesso esclusivamente testuale sarebbe non solo riduttivo ma anche scorretto in quanto l’evoluzione stessa dell’universo web in questi ultimi anni ci ha restituito una rete non lineare, interattiva e dinamica in cui il principale contributore diventa l’utente stesso”.

E ancora: “Dove le parole scritte non bastano o per chi fatica a trovarle, oggi le emoji sono una buona risorsa per molti testi digitali. Per la prima volta nella storia, l’Oxford Dictionary Word of the year è stata nel 2015 un’emoji: la faccina che ride con le lacrime agli occhi, quindi la condivisione di un’emozione felice”. Insomma è nelle cose che i messaggi ibridi si diffondano anche da noi tra rebus e sconce similitudini. Basta che qualcuno lanci il primo.

Leggi anche

Potrebbe interessarti anche

loading...

Lascia un commento