Le maschere iperrealistiche sono gli antenati dei deepfake

Non è un problema solo del web: anche nella realtà le false identità ci possono sviare. In questo video un ricercatore spiega come le maschere in uso nel cinema ci traggono in inganno

I deepfake ci preoccupano, ma anche nella vita reale non dovremmo sottovalutare chi bara con l’identità: le maschere iperrealistiche per camuffare il viso non vengono utilizzate soltanto al cinema, lo sapevate? In questo video, il giornalista di Wired Usa Matt Simon intervista il ricercatore Rob Jenkins, uno psicologo che ha pubblicato diversi studi sulla percezione facciale.

Come spiega Jenkins, anche gli esperimenti scientifici confermano che spesso le persone non sono in grado di cogliere la differenza tra un volto in carne e ossa e uno sintetico. In generale, siamo pochi attenti alle facce altrui e le maschere troppo vere per essere finte sono troppo lontane dall’immaginario comune per dare nell’occhio. Eppure, grazie anche all’evoluzione dei materiali, oggi sono più accessibili di ieri – e sarebbe anche riduttivo chiamarle maschere: spesso si tratta di rivestimenti che arrivano alle spalle, con tanto di rughe e pori, ma senza alcun segno visibile di giuntura.

Potrebbe non essere un grosso problema se non ci fossero persone che sfruttano l’iperrealismo per compiere atti criminali, con danni che rischiano di sviare le indagini. E allora Jenkins qui vi spiega anche in che modo le tecnologie per il riconoscimento facciale possono stanare chi bara.

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