Genitori a tempo pieno – Cosa fare, adesso che inizia il periodo della frustrazione?

Una rubrica pensata per raccontare l’esperienza di una “madre full time” ai tempi del coronavirus. Oggi si parla dell’importanza fondamentale di una lettura sul divano

Le puntate precedenti:
La prova più grande del coronavirus

Diario delle scuole chiuse
I bambini e il tempo sospeso
Perché non si pensa agli effetti dell’emergenza sui bambini?

In questi giorni tutti noi stiamo affrontano un ennesimo cambio di prospettiva, rispetto alla distopia nella quale viviamo. La fase della negazione della minaccia sta terminando un po’ per tutti, e con lei la fase dell’adrenalina e del riscatto: per qualche giorno ci siamo sentiti invincibili e inseriti in una paralisi temporanea che sarebbe terminata in tempi sostenibili. Erano i giorni dei flash mob e degli arcobaleni, momenti che hanno fatto bene ad adulti e bambini e soprattutto sono serviti a tutti noi a sentirci parte di una comunità.

Adesso, invece – come psicologi e psichiatri avevano largamente previsto – inizia il periodo della rabbia e della frustrazione.
Ed è ora che il lavoro quotidiano con i nostri figli diventa davvero una prova faticosissima. Soprattutto perché la rabbia – insieme ad altre caratteristiche, come la regressione e l’opposizione – non coinvolge soltanto noi adulti, ma in primis bambini e ragazzi. Moltissimi minori che dormivano ormai pacificamente tutta la notte, hanno cominciato a risvegliarsi due, tre, quattro volte per notte e ad avere episodi di enuresi notturna: si mettono di nuovo il dito in bocca, richiedono piangendo il ciuccio che avevano ormai abbandonato in un cassetto, dicono di non essere più capaci di vestirsi da soli, chiedono continuamente di essere presi in braccio e coccolati.

E, insieme alla rabbia, è subentrata in tanti bambini anche una tristezza che appare inconsolabile. Sono episodi difficili da gestire, soprattutto se si vive in una casa con più figli, di cui magari uno è ancora in un’età di bisogno totale. Gestire contemporaneamente un neonato e un bambino di quattro o cinque anni che ha smesso di essere (anche) un supporto per tornare a richiedere continue attenzioni, è una prova difficilissima. Soprattutto sapendo, come sappiamo benissimo, che anche gli adulti stanno attraversando fasi psicologiche simili, anche se contraddistinte da fenomeni differenti.

La narrazione popolare dice che per stare bene con i figli serve tanta pazienza. È giusto, ma è vero che serve soprattutto benessere. Stare bene con noi stessi, e stare bene come coppia, è la solida base su cui è possibile costruire quel castello di carte composto dalla presenza, dall’ascolto, dalla tenerezza, dalla disponibilità, dalla creatività e dall’allegria che rendono possibile un felice rapporto con i figli. Non credo, e non ho mai creduto, che fare il genitore sia una questione di eroismo. Quando potevamo uscire, quando potevamo andare a lavorare sentendoci ragionevolmente sicuri che la sera ci saremmo ritrovati intorno ad un tavolo a chiacchierare di quello che era successo a scuola, non ho mai amato i meme sulle mamme supereroine alle prese con l’insuperabile prova di gestione dei figli.

Ma in questo momento, in cui le condizioni sono profondamente e improvvisamente mutate, penso invece che riuscire a conservare le risorse per trasmettere benessere ai nostri bambini infelici sia un po’ una questione di fortuna, e un po’ di sincero eroismo. Io, perlomeno, mi chiedo in continuazione cosa dovrei rispondere ogni volta a mio figlio di quattro anni che, tra le venti e le trenta volte al giorno, mi dice: “Mamma, sono tanto triste”. Emanuele è triste soprattutto per tre cose, che elenca in continuazione: “Perché la scuola è chiusa, perché non vedo i miei amici, perché non posso uscire”, e credo che siano tristezze che accomunano migliaia di bambini della sua età, in questi giorni.

Chi ha figli più grandi mi racconta invece altre forme di tristezza e di angoscia: la sensazione di abbandono da parte di quei maestri che non stanno riuscendo – e sarebbe davvero ingiusto fargliene una colpa – ad attivare in modo costante la didattica digitale. La rabbia per l’insensato carico di compiti – questo sì, inaccettabile, al punto che su questo si è espresso anche il Miur – che in moltissimi casi stanno sostituendo il tempo della didattica; l’indolenza degli adolescenti, che vivacchiano sul divano senza prospettive; la frustrazione che si rovescia su tutte le persone che convivono in piccoli spazi. E per tutti, l’abisso della noia. Rispondere a tutto questo, farsi trovare pronti a ogni richiesta, a ogni litigata, a ogni scontro – mentre intorno a noi ruotano senza sosta le terribili notizie dei morti e dei ricoverati; le paure per il posto di lavoro e per la cassa integrazione; il timore per le persone care che non possiamo più vedere – è davvero una sfida da supereroi, e sbaglia chi la sottovaluta.

Credo allo stesso tempo, però, che sia importante non immaginarsi come infallibili. Non possiamo fare nulla perché questa situazione terribile abbia un impatto zero sui nostri figli. E immaginarsi come una diga che possa reggere qualsiasi piena non fa che aumentare la nostra rabbia e la nostra frustrazione quando leggiamo il malessere negli occhi dei nostri bambini.

Per chi può (e, l’abbiamo già detto, ci sono centinaia di migliaia di famiglie che non possono: i nostri pensieri e gli investimenti dovrebbero essere soprattutto per loro), dividersi il tempo quotidiano con i bambini tra i membri della coppia e con la babysitter diventa importantissimo per conservare le energie per la qualità del rapporto.
Cercare nella quotidianità quelle cose che ci fanno stare bene, e coinvolgere i nostri figli in queste fette di felicità che sappiamo ritagliarci, può essere una risorsa a cui attaccarci.

Tra le tante possibili, un’idea che mi sento di sollecitare per i genitori dei figli tra i 4 e gli 11 anni (o più) è quella della lettura ad alta voce di un libro per l’infanzia. Purtroppo – a differenza di quello che è successo ad esempio in Belgio – le librerie, in Italia, non sono state considerate rivendite che fosse necessario lasciare aperte. Ma su internet è possibile ordinare dei testi, e io consiglio di scegliere libri a capitoli ( qualche suggerimento sparso: Pippi Calzelunghe, La fabbrica di cioccolato, Il GGG, Clorofilla dal cielo blu, Harry Potter, Storia della gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, L’occhio del lupo, Il giardino segreto, La freccia azzurra…) la cui lettura diventi un’abitudine quotidiana. Un capitolo al giorno, come un appuntamento prezioso di vicinanza, di affetto, di condivisione e di sana fuga dalla realtà. Per Emanuele, noi abbiamo scelto prima Pippi Calzelunghe  (che invidia, in questo momento, per le sue avventure per mare e nelle foreste del nord!) e adesso stiamo iniziando L’orso Paddington.

Una lettura sul divano risponde a tanti bisogni dei bambini, in questo momento: sentirsi accolti, ritagliare uno spazio di fuga, immaginare il mondo al di fuori delle mura di casa, immedesimarsi nei protagonisti, rielaborare le paure e la rabbia, conservare una routine.
E che bello, se queste letture diventassero un’abitudine da conservare anche quando, finalmente, potremo di nuovo uscire alla luce del sole.

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