Formula 1, i grandi perdenti: la storia di Chris Amon, il “Willy Coyote” del Circus

“Il secondo è il primo dei perdenti” diceva Enzo Ferrari. Tale massima è entrata nella forma mentis del mondo delle corse, dove infatti vige la crudele legge del “the winner takes it all”. Per queste ragioni, se si guarda all’intera storia della Formula 1, la figura di Chris Amon è diventata quella del “perdente” per antonomasia. D’altronde il pilota neozelandese, a dispetto del suo indiscutibile talento, non è mai riuscito a vincere neppure un Gran Premio, dovendo talvolta rinunciare al successo a causa di situazioni singolari o inconvenienti grotteschi.

Chris Amon nasce il 20 luglio 1943 a Bulls, in Nuova Zelanda, un piccolo borgo posto circa 150 km a nord della capitale Wellington. Attratto dai motori sin dall’infanzia, lascia la scuola per dedicarsi al mondo delle corse, emigrando poi in Gran Bretagna appena maggiorenne. Ben presto lega con il connazionale Bruce McLaren, pilota già affermato, che lo introduce rapidamente nell’ambiente della Formula 1. Così, il neozelandese esordisce nel Circus nel 1963 a soli 19 anni, giovanissimo per l’epoca, con il team di Reg Parnell. Nonostante una vettura poco competitiva, impressiona per la sua velocità e si guadagna la riconferma per il 1964, anno in cui marca i suoi primi punti iridati grazie al quinto posto nel Gran Premio d’Olanda.

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Ciononostante, nel 1965 si ritrova fuori dalla Formula 1! La Parnell ha stipulato un contratto per avere motori BRM, ma solo a patto di far gareggiare Richard Attwood. McLaren allora vorrebbe ingaggiare l’amico per il suo neonato team, ma non riesce a reperire risorse sufficienti per schierare una seconda monoposto. Così, per due anni, Amon si deve accontentare di gareggiare nel Circus occasionalmente. Tuttavia, riesce a inserire il suo nome nella storia dell’automobilismo imponendosi nella mitica 24 ore di Le Mans 1966, proprio in coppia con Bruce McLaren. Quel successo, la cui genesi è recentemente stata raccontata nel film “Le Mans ’66 – La grande sfida” con Matt Damon e Christian Bale, rappresenta la prima affermazione della Ford nella maratona francese, con la casa americana finalmente capace di spezzare l’apparentemente inattaccabile egemonia della Ferrari.


Già, la Ferrari. Al Drake non sfugge il talento del giovane kiwi e decide di metterlo sotto contratto a partire dalla stagione 1967. Nelle intenzioni della Casa di Maranello, il neozelandese dovrebbe essere un pilota da far crescere con calma in prospettiva futura. La star del Cavallino Rampante è infatti Lorenzo Bandini, il quale rimane però tragicamente ucciso nel Gran Premio di Montecarlo, gara in cui Amon conclude terzo, ottenendo il primo podio della carriera. Come se non bastasse, in Belgio, Mike Parkes si rompe entrambe le gambe. Così, Chris si ritrova improvvisamente a essere la punta di diamante della Ferrari, rivelandosi peraltro all’altezza della situazione. Ottiene, infatti, quattro terzi posti e conclude il Mondiale in quinta posizione.

Nel 1968 Amon inizia ad assumere i contorni del Willy il Coyote della Formula 1. Il 12 maggio, a Jarama, si disputa il GP di Spagna. Il kiwi realizza la pole position e prende autorevolmente il comando, salvo ritirarsi per la rottura della pompa della benzina. Il 9 giugno a Spa-Francorchamps si corre il GP del Belgio. La Ferrari presenta una novità rivoluzionaria, ovvero delle primordiali appendici aerodinamiche. Il neozelandese realizza una pole position da urlo, rifilando 3”7 al secondo e 5”7 al compagno di squadra Jacky Ickx! È il chiaro favorito per vincere la gara, ma la rottura del radiatore lo costringe nuovamente al ritiro. Due settimane dopo, a Zandvoort, va in scena il GP d’Olanda. Altra pole position per Amon, ma la domenica piove e i valori in campo vanno a carte quarantotto. Sulla pista bagnata, gli pneumatici Firestone della Ferrari non reggono il confronto con Dunlop, montati dalle Matra, che infatti realizzano una doppietta.

Si arriva al 7 luglio. A Rouen è il giorno del GP di Francia, poi passato tragicamente alla storia per il rogo in cui perse la vita Jo Schlesser. L’asfalto è asciutto, ma più ci si avvicina alla partenza, più il cielo diventa pesante e minaccia pioggia. Memori di quanto avvenuto a Zandvoort, alla Ferrari si decide di correre un rischio. Se dovesse piovere, non ci sarebbe modo di essere competitivi. Quindi, in fretta e furia i meccanici si mettono a scolpire a mano un treno di pneumatici, allo scopo di renderlo più efficace sulla pista bagnata. La “Rossa” di Ickx partirà con queste gomme, mentre l’altra avrà le solite Firestone. L’azzardo paga, perché poco prima del via si scatena un violento acquazzone. Il belga, dotato di una sorta di rudimentali pneumatici rain ante litteram, gode di un vantaggio enorme sulla concorrenza e trionfa per prima volta in carriera, riportando peraltro la Ferrari al successo dopo quasi due anni di digiuno. Sul perché sia stato proprio Jacky a partire con le gomme scolpite, non vi è certezza. Al riguardo esistono tre differenti versioni dei fatti. La prima sostiene che i due piloti si siano parlati e abbiano deciso di comune accordo quali pneumatici usare. La seconda afferma che fu la direzione sportiva della Ferrari ad affidare a Ickx le gomme intagliate, poiché il belga veniva considerato più abile sotto l’acqua. Infine, la terza e per certi versi più affascinante versione, racconta che sia stato un banalissimo sorteggio ad assegnare gli pneumatici scolpiti a mano a Jacky. Se così fosse, sarebbe stata la Dea bendata a decidere chi tra Ickx e Amon avrebbe vinto la gara…

Il 20 luglio a Brands Hatch non ci sono guasti meccanici a fermare il neozelandese, che infatti ingaggia una furibonda battaglia per il successo con la Lotus di Jo Siffert, il quale lo “brucia” sul traguardo di un’incollatura. L’8 settembre Amon è vittima di uno spaventoso incidente a Monza, durante il quale viene sbalzato fuori dall’abitacolo della sua vettura, finendo su un albero. Miracolosamente, ne uscirà illeso! Dopodiché, quanto accade due settimane dopo in Canada, ha del sensazionale. Il kiwi rompe la frizione alla partenza, ma nonostante l’inconveniente prosegue nella sua gara, dando dimostrazione di una sensibilità di guida e di una cultura tecnica eccezionali. Nonostante l’handicap, si lancia in un assolo apparentemente irresistibile, dominando la scena per 72 dei 90 giri in programma. Tuttavia, il suo cambio cede improvvisamente, obbligandolo all’ennesimo ritiro. Conclude il Mondiale solamente al decimo posto, ma ha sfiorato la vittoria almeno quattro volte. Considerata la sua età, il futuro appare roseo.

Il 1969, invece, è un anno da dimenticare. Amon colleziona cinque ritiri nelle prime sei gare e se ne va dalla Ferrari sbattendo la porta a metà stagione, insoddisfatto per la gestione del team e per le sue prospettive future. L’esperienza con il Cavallino Rampante si conclude pertanto con 3 pole position e 6 podi, senza tuttavia alcun successo.

Così, per il 1970, Chris si accasa alla March. In Belgio da’ vita a un entusiasmante duello per il successo con il messicano Pedro Rodriguez, dal quale viene letteralmente battuto in volata. Per il kiwi, l’affermazione sfuma in questo modo beffardo per la seconda volta. Durante l’annata raccoglie altri due podi, che portano il totale della carriera a nove. Senza, però, aver ancora calcato il gradino più alto…

Nel 1971 Amon trasloca alla Matra. Non sono molte le gare in cui riesce a essere protagonista, ma quanto avviene a Monza, in occasione del GP d’Italia, ha dell’incredibile. Il neozelandese conquista la pole position con un tempo mostruoso, che rimarrà il più veloce in assoluto nella storia dell’autodromo brianzolo prima dell’introduzione delle varianti. In gara, rimane perennemente nel folto gruppo di testa, ma a una dozzina di tornate dal traguardo decide di attaccare a spron battuto. È finalmente arrivato il giorno della sua prima vittoria? No, perché quando mancano otto giri alla bandiera a scacchi, perde la visiera del casco! Un inconveniente più unico che raro, a causa del quale si trova costretto ad alzare il piede e ad accontentarsi di un’anonima sesta piazza.

Rimasto alla Matra anche nel 1972, nel Gran Premio di Francia, Chris si ritrova a ingurgitare l’ennesimo calice di fiele. In qualifica è inarrivabile e scatta dalla pole position. Si installa al comando e mantiene autorevolmente la leadership. Tuttavia, la pista di Clermont-Ferrand è piena di detriti. Non a caso quel giorno terminerà la carriera da pilota di Helmut Marko, colpito a un occhio da un sasso “sparatogli” addosso dalla Lotus di Emerson Fittipaldi. Ed è proprio una pietra a forare uno pneumatico di Amon, il quale, dopo essersi fermato ai box, si lancia in una disperata rimonta che lo porta sino a un amaro terzo posto finale. È l’ultimo lampo della carriera del kiwi, che tra il 1973 e il 1976 gareggia solo in maniera occasionale, tentando senza esito persino di tramutarsi in costruttore. Appende il casco al chiodo a soli 33 anni, rivelandosi precoce nel ritiro così come nell’esordio. Torna in Nuova Zelanda per dedicarsi all’azienda di famiglia e conclude la sua esistenza terrena nel 2016, pochi giorni dopo il suo 73° compleanno, arrendendosi a un male incurabile.

Ancora oggi, Chris Amon detiene due curiosi record. È il pilota ad aver realizzato più pole position (5) e ad aver percorso il maggior numero di giri in testa (183) senza aver mai vinto un Gran Premio! I suoi podi sono 11, ma divisi in tre piazze d’onore e otto terzi posti. Insomma, non si può certo dire che non fosse talentuoso e, come abbiamo visto, ha più volte avuto l’occasione per imporsi in almeno una gara. Eppure, non c’è mai riuscito. Per questa ragione è “il perdente” per antonomasia della storia della Formula 1. Un “perdente”, però, amatissimo dai tifosi e stimato dai colleghi, soprattutto per la sua grande cultura tecnica.

Alla luce dei tanti guasti, in alcuni casi grotteschi, che gli hanno impedito di imporsi almeno una volta, Chris si è fatto la nomea di “pilota sfortunato”. Al riguardo, Mario Andretti ebbe a dire: “Se si mettesse a fare il becchino, la gente smetterebbe di morire”. Il neozelandese, però, aveva un’opinione diversa al riguardo “Io sfortunato? Ho avuto diversi bruttissimi incidenti nei quali sarei potuto morire, ma non mi è mai successo niente di serio. Al massimo mi sono rotto qualche costola. Molti miei colleghi, non possono raccontare lo stesso”.

paone_francesco[at]yahoo.it

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Foto: Wikipedia, diritto libero

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