ESCULSIVA – Pino Aprile: “Nelle grandi tragedie ci si unisce, questione diversa in Italia”

Pino Aprile, noto giornalista, scrittore e autore di diversi libri sulla questione meridionale, tra cui “Terroni”, diventato uno dei principali best-seller italiani del 2010, è stato nostro ospite in “ForzAzzurri Social Club – Speciale #FacciamociCompagnia” una trasmissione che va in diretta web Facebook tutti i martedì alle 21 sulle nostre pagine ufficiali Facebook “ForzAzzurri – La voce dei tifosi del Napoli” e “FirstRadioWeb” e in replica su TeleFurura, canale 172 del DT 

 

L’Italia, dopo due mesi di pandemia da CoVid-19, sta cercando di rimettersi in movimento e di ritornare alla normalità. Ne abbiamo parlato con il noto giornalista e scrittore Pino Aprile, meridionale e meridionalista.

 

La conquista dello storico primo scudetto del Napoli rappresentò una rivincita in primis, contro lo strapotere delle squadre del nord, capitanate dalla Juventus della famiglia Agnelli; in secondo luogo, perché iniziava ad affacciarsi sul panorama calcistico un certo Silvio Berlusconi. Si può dare, quindi, una doppia connotazione a quella vittoria che, a quanto pare, non è stata solo un successo sportivo?

“Se esiste una questione meridionale è facile ritrovarla in ogni aspetto della vita: nell’elenco occupazionale, nella quantità di autostrade e treni, in busta paga, nelle strutture sanitarie. La questione meridionale è una deprivazione politicamente imposta nei confronti del sud Italia facile da trovare anche nello sport. Il sud è povero anche in questo campo.

Nel calcio, le squadre del sud soccombono politicamente ed economicamente a quelle del nord e in tutte le altre discipline bisogna essere dieci volte più bravi perchè anche le strutture, al sud, sono fatiscenti. Basti pensare ai fratelli Abbagnale che si allenavano nelle acque del mare e non in acque ferme come “vorrebbe” il canottaggio e che un certo Pietro Mennea preparava le sue gare sull’asfalto delle strade cittadine e sui marciapiedi.

Nonostante questi handicap, però, il sud è riuscito sempre ad emergere e a portare risultati prestigiosi. La vittoria del sud diventa storia con la partecipazione di tutto il popolo”.

 

COVID 19 – All’inizio si cantava l’Inno di Mameli dai balconi ora sta venendo fuori quella che è la vera natura dell’Italia: un paese spaccato in tutti i sensi e che anche sotto l’aspetto scientifico non c’è unità di intenti. E’ stata l’ennesima conferma che uniti si è solo sulla carta?

“Proprio nelle grande tragedie si riesce a ricompattarsi ma in Italia non è mai successo.

A seguito del terremoto che colpì L’Aquila, si scavava per recuperare i morti sotto le macerie. Salvini “offendeva” i napoletani chiamandoli terremotati, proprio come gli aquilani che ci hanno rimesso una città e mezza regione, e colerosi. Il colera arrivò a Napoli nel 1973 dalla Tunisia per un quantitativo di cozze infette e la stessa partita di cozze giunse anche a Barcellona tenendo la città sotto scacco per due anni mentre a Napoli se ne liberarono in meno di due mesi ed i morti furono “solo” 24.  Salvini ebbe  una condanna per razzismo per quei fatti che, comunque, non gli ha impedito di andare al Governo e ancora oggi il napoletano viene definito “coleroso”.

La Lombardia, per la sua pessima gestione dell’epidemia, ha fatto quindicimila vittime ma non ho mai sentito un meridionale insultare un lombardo. I malati da coronavirus lombardi venivano trasferiti al sud Italia perchè in Veneto non li volevano. Questa è la vera differenza di  cultura e di civiltà che evidentemente manca nella parte più settentrionale della penisola”.

 

Lei ha alle spalle una lunga carriera da giornalista. Pensa che con un’informazione meno faziosa e politicizzata, con una informazione davvero “indipendente”, questo paese possa fare davvero un balzo in avanti?

“L’arma politica più potente è l’informazione. Quando si vuole soggiogare una popolazione si cerca di far dimenticare la sua storia e di toglierle la possibilità di parola. La televisione di Stato, ovvero la Rai,  è stata oggetto di analisi da parte di due sociologi veneziani; i due hanno analizzato il TG1 andato in onda negli ultimi 30 anni ed è stato scoperto che il TG di Stato dedica servizi riguardanti il sud in misura del 9% del tempo a disposizione e, cosa ancor più grave, la quasi totalità dei servizi è relativa a criminalità e mala sanità. Se fossi nato 30 anni fa crederei che i meridionali siano corrotti e mafiosi. Sono cose praticamente volute”.

 

Nella canzone che ha scritto per Al Bano, “Ti parlo del Sud”, ha parlato di terra, di vino, di fichi, di vento, di sapori e di valori… Qual è la ricetta per preservarli?

“Questi valori sono anche cultura e sapienza. La conformazione territoriale del sud Italia permette un’agricoltura importante la cui produzione orticola e di frutti mediterranei viene inviata anche in America tant’è che la cantieristica dei Borboni costruì delle navi veloci che avevano il record di traversata d’oltreoceano: meno di un mese per fare arrivare la frutta negli States. Il sud non ha una mega produzione e quindi bisogna ingegnarsi diversamente ovvero spezzettandola per far sì che ogni singolo pezzetto produca tesoro. Bisogna pensare diversamente a come fare mercato, al prezzo, alla vendita… Tutte cose che, ahìnoi, ci stanno distruggendo”.

 

1860, Garibaldi sbarcò a Marsala e iniziò il suo percorso alla conquista del Regno delle Due Sicilie. Qualche mese dopo l’Unità di Italia, i Borboni di Spagna mandarono il Generale Josè Borjes in Italia per riprendersi il Regno delle Due Sicilie. La missione del Generale spagnolo fallì; perché i Borboni non hanno mai fatto una seconda mossa?

“In verità, la mossa l’hanno pure fatta ma l’hanno sbagliata. La storia di Garibaldi e dei suoi Mille che arrivano in Sicilia e sconfiggono un esercito super attrezzato e perfettamente armato è solo una favoletta. La verità è che la differenza la fecero i ventimila soldati piemontesi, ufficialmente disertori e volontari, che vennero accompagnati in Sicilia con l’aiuto di navi inglesi e francesi. I Borboni, in pratica, avevano contro le più grandi potenze del tempo: la Gran Bretagna e la Francia.

Qualche tempo prima, proprio i francesi conquistarono il Regno, ma i Borbone riuscirono a riprenderselo perchè il Cardinale Ruffo raccolse i “lazzari” e i resti sbandati dell’esercito e si mosse militarmente e non, quindi, con una organizzazione brigantesca”.

 

In genere si dice che senza crisi non può esserci una rinascita. Questa crisi può essere un’occasione per rimettere in moto il meridione?

“Solo in un modo: l’Italia si deve svegliare da questa mazzata e deve spostare tutti gli investimenti al sud. La nazione è spezzata e divisa e avrebbe bisogno di una “furbizia” economica: la possibilità di sviluppo può avvenire in quei territori lasciati indietro in termini di sviluppo. Proprio in questi territori si verrebbe a creare un differenziale così largo che creerebbe ricchezza”.

 

Il legame napoletano-Napoli è da sempre un legame viscerale, eterno. Secondo Lei, quale è il vero motivo per cui il popolo partenopeo è rimasto quello più legato ad una forte identità meridionalista?

“La radice meridionalista napoletana è fortissima. Stante la grande produzione intellettuale e culturale, quella dominante è quella artistica: la musica, il teatro, il cinema. In Puglia gli stessi temi sono più sviluppati a livello di saggistica economia e di sociologia; il pugliese la vive più da ragioniere mentre in Sicilia le produzioni scientifiche e artistiche vengono “vissute” nella letteratura. Per estremizzare, la musica è Napoli, il trattato di economia è pugliese e “Il Gattopardo” è siciliano”. La radice è sempre la stessa, cambia il modo di rappresentarla”.

 

Antonio De Nigro

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