Da Creta a Capo Sunion, il viaggio è mitico

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Il viaggio inizia da Creta e si conclude guardando il mare da Capo Sunion; sulle montagne di Creta inizia la storia di Zeus, nascosto dalla madre nella Grotta Idea subito dopo la nascita; qui sono nati i Cureti, venuti al mondo dalle gocce di pioggia o dalle lacrime di Zeus bambino, qui hanno avuto vita i misteriosi Dattili Idei, straordinari inventori, indovini e maghi. Accompagnati dai miti di Dei ed Eroi, dalle storie di Ninfe amate, stuprate e abbandonate e dai personaggi dei poemi omerici, Giulio Guidorizzi e Silvia Romani ci portano nella Grecia di oggi, invitandoci a trovare nel paesaggio, nelle città, nei luoghi archeologici e nelle opere d’arte – sopravvissute al tempo e alle rapine – le tracce delle vicende tragiche ed eroiche che si narravano nei tempi antichi.

Creta e il mito dell’amore violento

A Creta “abitare il mito” non è certo difficile e in questo aiutano i restauri, non certo conservativi, delle pitture murali di Cnosso che ci portano in ambienti colorati e suggestivi. La civiltà minoica ha regnato sull’intera isola prima dell’invasione dei Micenei (1450 a.C. circa), non ha lasciato poemi epici, ma ha lasciato tracce importanti ad Haghia Triada: un magnifico sarcofago, ma soprattutto una serie di tavolette scritte in lineare A (una lingua ancora, in parte, indecifrata), e un ricco corredo di gioielli ospitato nel museo.

Nella storia di Creta la parola “amore” sembra sinonimo di violenza, dolore e morte, ancora evocati dal paesaggio riarso: il dolore per il perduto amore di Giasone porta Medea a Creta, e a Creta hanno vissuto la giovane Europa rapita e “amata” da Zeus, Arianna amata e poi abbandonata da Teseo, il Minotauro nato dall’amore di Pasifae col toro, le vergini sacrificate all’amore del Minotauro nel labirinto, costruito da Dedalo. La violenza amorosa di Minosse ha ancora un’altra vittima, la ninfa Britomartis, inseguita dal Re per mesi e costretta a gettarsi in mare dall’alto di uno sperone roccioso.

In realtà, seguendo gli autori nel loro percorso viene la voglia dispettosa di desacralizzare i miti e di guardare i fatti nella loro crudezza. La violenza maschile è predominante, le ninfe fuggono ma – come Dafne inseguita da Apollo – vengono trasformate variamente dalle dee protettrici della loro castità. Il libro racconta storie e storie di donne, storie di sofferenza, di inganni, di disperazione che trova sfogo nella violenza su se stesse o su altri. Viene voglia di fare confronti tra gli Dei stupratori e le giovani contadine stuprate dai loro datori di lavoro in tempi non proprio lontanissimi. Anche in questi casi il “figlio della colpa”, di cui le madri tentavano di disfarsi, veniva spesso segretamente protetto dai padri che si guardavano bene di dare loro il nome del casato.

Anche le storie di vendetta delle mogli tradite, e Era è un buon esempio, non sono poi così lontane da storie contemporanee: allora queste atrocità venivano considerate dai miti “fatti della vita” o “normali” e trovavano nella cultura dell’epoca una giustificazione che proprio il mito permetteva di sopportare. Ad Itaca il mito ci parla di Ulisse, che stermina il fiore della gioventù perché i giovani Proci avevano divorato il suo bestiame nella paziente attesa di eventuali nozze legittime di Penelope con uno di loro. Così Ulisse può tornare a fare il signorotto di paese, facendo pace con i genitori degli uccisi, e ristabilendo su greggi, ancelle e moglie la sua autorità di pater familias

Il conflitto tra ragione e passioni

Ma non è questo lo spirito del libro, dove racconti di miti, testimonianze archeologiche, curiosità e eventi della storia contemporanea che arrivano fino alla Seconda guerra mondiale, si intrecciano lungo un percorso in cui la ferocia di certe storie si stempera nella dolcezza dei paesaggi. Il viaggio prosegue toccando Pilo, la terra di Nestore, dove dalla ninfa Maia amata da Zeus nacque Ermes, il ladro delle mandrie di Apollo, e giunge poi a Olimpia, dove si disputavano gare tra atleti che per vincere mettevano in gioco la vita. Qui la bellezza del corpo umano e la meraviglia della giovinezza erano evocate dalla maestosa statua crisoelefantina di Zeus scolpita da Fidia e andata oramai perduta.

Nel museo di Olimpia, invece, si possono ancora ammirare l’uno di fronte all’altro i resti dei due frontoni del tempio di Zeus, scolpiti nella prima parte del v secolo a.C. Questi descrivono l’uno la battaglia tra Centauri e Lapiti, l’altro il mito di Ippodamia contesa da due feroci rivali: una altra storia di morte, sangue e tradimento il cui ricordo diede poi origine alle Olimpiadi. Nelle sculture del frontone si legge anche un messaggio etico: il conflitto tra ragione e passioni può essere vinto da un’umanità civile; il coraggio non nasce dalla rabbia, ma dalla ragione; la vittoria o la sconfitta hanno un significato religioso e fanno pensare ai limiti dell’uomo, al tempo che passa, alla morte.

Sono interessanti, nel viaggio proposto dagli autori, i luoghi abitati dai morti, come l’estuario dei fiumi infernali, l’Acheronte e il Cocito, le cui acque erano nutrite dalle lacrime dei defunti. Ad Efira, alla palude Acherusia, approdavano le anime in attesa di attraversarla sulla barchetta guidata da Caronte, per arrivare nel regno di Dite, dominato dal dio Ade e dalla sua bellissima sposa Persefone. Ma i defunti potevano giungere agli Inferi solo se il loro cadavere fosse stato bruciato sulla pira o composto in una tomba.

Giulio Guidorizzi e Silvia Romani

In viaggio con gli Dei. Guida mitologica della Grecia.

Raffaello Cortina Editore, 2019

PP. 270, Euro 18,05

La porta degli Inferi

Efira era dunque la porta degli Inferi e un nekromanteíon, un posto dove i Greci si ritrovavano per consultare i fantasmi, in compagnia di un sacerdote e dopo aver mangiato un cibo rituale: fave, carne di maiale, pane d’orzo e persino ostriche. Il sacrificio di una capra era il tributo indispensabile ai trapassati. Allora, fra i vapori di zolfo e le droghe allucinogene, le ombre si accostavano ai vivi e predicevano loro il futuro. Soltanto Eracle, e poi Teseo e poi il poeta Orfeo erano entrati vivi all’Ade. Ad Orfeo era stato concesso di tornare alla vita conducendo con sé la sua sposa Euridice, a patto di non voltarsi indietro fino a quando non fosse giunto alla superficie. Il poeta, invece, si volterà, e perderà Euridice per sempre. La ragione di quest’amnesia, commentano gli autori del libro, è fra i misteri più profondi del mito antico: “la “coltre della dimenticanza” avvolge i regni di fumo in cui abitano quanti non potranno più vedere la luce del sole; attacca, vischiosa, anche chi, come Orfeo, dovrebbe e potrebbe ricordare.” Forse il poeta aveva voluto dimenticare il suo amore e abbandonare Euridice all’abbraccio della morte. Forse è stata la stessa Euridice a perdere la memoria, ma la tessitura di affetti che era stato il loro amore viene distrutta da questa distrazione.

Approdo a Capo Sunion

Infine i viaggiatori giungono ad Atene, abitata dagli Dei custodi della città e della democrazia, presenti ovunque con le loro storie, i loro templi, i loro seguaci. Qui Atena, Dioniso, Efesto, Artemide hanno i loro culti; qui, nel giudizio dell’Areopago, Oreste trova pace dalla persecuzione delle Erinni; qui Socrate beve il veleno che lo ucciderà; qui la follia delle baccanti di Dioniso viene ancora rappresentata in teatro; qui Egeo, vedendo le vele nere della nave di Teseo, trova la morte per la strana dimenticanza del figlio. Gli dei che rappresentano le molteplici sfaccettature della civiltà e del pensiero umano sono sempre presenti, crudeli, generosi, egoisti, vendicativi o protettivi, come gli uomini di cui sono lo specchio. Lasciando la Grecia, il viaggio si conclude a Capo Sunion sfuggendo, come dicono gli autori, al fascino delle colonne del tempio di Poseidone; come per un incanto il bianco colonnato richiama indietro i viaggiatori, allo stesso modo delle sirene.

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Credits immagine di copertina: Couleur/Pixabay

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