Perché Paypal è la killer app delle criptovalute

Con una base utenti cinque volte più grande di tutte le app che già offrono lo scambio di bitcoin e affini, Paypal può fare la differenza per diffondere la cultura “cripto”

La sede di PayPal (Getty Images)
La sede di PayPal (Getty Images)

Quando uscì dal progetto Libra, lanciato dai suoi “vicini di casa” in Silicon Valley di Facebook, sembrava che Paypal si allontanasse definitivamente dalla corsa alle criptovalute, andando a rinforzare i ranghi dei criptoscettici e delle lobby che combattono le monete digitali. Invece nei quartieri generali di San Jose stavano probabilmente solo prendendo la rincorsa. Qualche mese dopo, tramite l’integrazione delle criptovalute nella loro app Venmo, hanno lanciato invece un segnale forte e chiaro al settore cripto e alla finanza tutta.

Venmo è un’app usata principalmente dai singoli utenti, piuttosto che dalle imprese (come invece succede più spesso con Paypal), e conta 300 milioni di utenti a livello mondiale (un database che Wired Us ha giudicato “pericoloso” dal punto di vista della cybersecurity).

La mossa di Paypal rischia di avere ripercussioni pesanti in primis proprio sul progetto di Libra, che sembrava destinato a rivoluzionare per sempre il rapporto tra criptovalute e grande pubblico (l’obiettivo di Zuckerberg era di replicare quello che Apple ha fatto con gli smartphone) e che ora esce invece fortemente ridimensionato, andando ad aggravare il sentimento già non positivissimo dopo le prime bocciature di Visa e Mastercard al piano di Menlo Park.

Ma le ripercussioni non investono solo la Silicon Valley. Ovviamente, Paypal non è la prima piattaforma a permettere il trading di bitcoin. Robinhood, Revolut, eToro, Square’s Cash App e Raiz sono solo alcuni degli esempi di altre piattaforme che permettono di acquistare criptovalutte in maniera semplice. Quello che cambia però è la portata della loro base di utenti: Paypal da sola è cinque volte più grande di tutti questi messi insieme. Paypal promette di far diventare quotidiano l’utilizzo di un bene visto finora, specialmente in alcuni mercati (tra cui l’Italia), come fenomeno marginale, o “per nerd”.

I numeri del mercato

Quando parliamo di criptovalute, il pubblico pensa in particolare a una di esse: il bitcoin. E a ragion veduta: oltre a essere la prima cripto mai “minata”, oggi il bitcoin domina il settore con il 63% della capitalizzazione di mercato di tutto il settore (non è un caso che si parli proprio di “Btc dominance”).

Le criptovalute presenti sul pianeta Terra a luglio 2020 sono però 5.691, per un totale di capitalizzazione, volatilità permettendo, intorno ai 266 miliardi di dollari, dopo aver toccato un massimo di 829 miliardi a gennaio 2018. Rispetto agli 81mila miliardi di valute fiat (quelle supportate da istituzioni nazionali o sovranazionali: i soldi comunemente intesi nel ‘900, insomma) stimate al mondo, siamo dunque ad appena lo 0,3% del totale, dopo aver superato la barriera psicologica dell’1% due anni fa. La situazione, però, sembra nuovamente sul punto di cambiare.

Un interesse diffuso

L’interesse crescente nei confronti del mondo cripto, e un certo cambiamento di attitudine dei player istituzionali, non si vede solo negli Stati Uniti, ma in mercati che fino a un paio d’anni fa sembravano inespugnabili per questa tipologia di progetti basati su tecnologia blockchain, che per sua natura è trasparente e decentralizzata: è il caso del digital yuan cinese (e-rmb), una sorta di equivalente digitale della valuta che troverà terreno particolarmente fertile nella terra di Mezzo, dove la digitalizzazione delle transazioni è pressoché totale, grazie alla penetrazione di WeChat nel sistema metropolitano cinese.

In generale, le cripto stanno crescendo soprattutto nelle economie emergenti, da un lato per una certa predisposizione alle economie informali, dall’altro per via di inflazione e monete deboli che rischiano di mettere a repentaglio il potere d’acquisto della popolazione (è il caso dei numerosissimi “bitcoin shop” fuori dal mercato di Istanbul).

Bitcoin (Getty Images)
Bitcoin (Getty Images)

Il secolo delle criptovalute

I segnali paiono portarci verso il secolo delle criptovalute. Alla base vi è il valore della community. Molti progetti sottolineano il loro approccio collaborativo, dove non esistono shareholder ma singoli peer che sono coinvolti nell’ideazione, nello sviluppo e nella promozione, in piena trasparenza – non è raro che le decisioni si prendano tramite “referendum”, per dire.

E poi, i valori cardine alla base del movimento originale, che si distingueva per una “depoliticizzazione” del denaro, separazione tra Stato e valuta, decentralizzazione intesa come occasione per accorciare le filiere ed erodere così le posizioni di rendita degli attori dominanti. Leggi: banche, sicurezza, privacy e libero mercato. In questo momento, il mercato sembra premiare progetti che si distinguono per tre fattori principali: user experience, education e centralità della comunità nel processo decisionale, nella promozione del servizio e nella restituzione del valore generato.

I prossimi progetti da seguire

Coinmarketcap è un ottimo punto di partenza per tracciare i movimenti delle criptovalute più interessanti. Per restare nella top-100, negli ultimi tempi si sono distinte per approccio innovativo alle soluzioni cripto la cinese VeChain; Flexacoin, che negli ultimi tempi ha avuto un ritorno sull’investimento di quasi il 300%; la svizzera Swissborg, che ha recentemente rilasciato un’app di wealth management che garantisce i migliori tassi di cambio da fiat e intra-cripto per un numero crescente di valute, grazie a uno smart execution engine che aggrega gli order book di quattro exchange (una specie di Skyscanner per le cripto). La notizia ha portato a un entusiasmo del mercato e una crescita del 500% del valore del token svizzero, che ora si è normalizzato a circa due terzi del valore di punta. 

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