È stato chiuso uno dei più grandi siti al mondo sulla teoria QAnon

Un gruppo di fact checking è riuscito a risalire all’identità del gestore di un portale che diffondeva le teorie complottistiche ormai diffuse in tutto il mondo

qanon
(via The Hill)

Qmap.pub, uno dei più grandi siti internet che promuovono la cospirazione QAnon, è stato chiuso grazie all’intervento di un gruppo di fact checking che ha identificato l’identità del gestore del portale.

Con oltre 10 milioni di visitatori registrati nel mese di luglio, Qmap è stato utilizzato dai cospirazionisti per pubblicare i post relativi alla teoria conosciuta come QAnon. Secondo questa teoria, più volte smentita, esisterebbe un Deep State comandato da celebrità e politici democratici che tramerebbe all’ombra dei governi per rovesciare l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e ottenere il controllo della popolazione mondiale.

Il sito raccoglieva post con la firma di Q, la misteriosa figura dietro alla teoria QAnon, mentre il gestore si presentava online con lo pseudonimo di QAppAnon. Le tesi di QAnon, sfruttando la pandemia, i disordini globali e la crescente sfiducia nelle autorità, negli ultimi mesi si sono diffuse in oltre 70 paesi, Italia compresa. Grazie alla popolarità della teoria complottistica, l’account Patreon di QAppAnon riceve più di 3mila dollari in donazioni mensili da utenti che credono fermamente nell’esistenza di un complotto volto a soggiogare l’umanità.

Il 10 settembre Logically, sito di verifica dei fatti, è però riuscito a identificare la persona dietro lo pseudonimo di QAppAnon, che gestiva il popolare sito. Si tratta di Jason Gelinas, residente nel New Jersey, dove Bloomberg l’ha raggiunto e intervistato. Gelinas ha definito QAnon un “movimento patriottico per salvare il paese”, ma, dopo aver saputo del collegamento ricostruito da Logically tra il gestore del portale e la sua identità, si è rifiutato di commentare ulteriormente la faccenda.

Poche ore dopo l’incontro il sito internet non era più accessibile. Attraverso il profilo Linkedin, i media americani sono risaliti al sito della società presso cui Gelinas sosteneva di lavorare e che dichiarava di creare “notizie di nuova generazione e piattaforme di social media”, ma anche questo risultava offline.

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