La startup che rivoluziona la didattica a distanza

Coursera ha cambiato il modo di fruire di lezioni da remoto e di corsi universitari. Una trasformazione che si riflette sul futuro di scuole e professionisti

Male and female students looking at camera and standing in corridor during break
Foto: Getty Images

La trasformazione digitale arriva nelle università, forse l’ultimo dei settori che attendevano di essere rivoluzionati. Non si tratta di semplice e-learning (ricordate le lezioni a tarda notte sui canali Rai del Consorzio Nettuno?) o di campus digitali, bensì di didattica pensata e strutturata per funzionare online, utilizzando piattaforme dedicate. Inutile dire che il coronavirus ha accelerato il tutto. E gli studenti di mezzo pianeta hanno scoperto la didattica online.

Coursera è una piattaforma di e-learning con sede a Mountain View, nella Silicon Valley, nata dall’idea di due professori di Stanford nel 2012. All’epoca l’e-learning si chiamava massive open online course (Mooc) e sembrava che avrebbe dovuto democratizzare l’accesso alla formazione e rivoluzionare il mondo, diffondendo le conoscenze e le competenze ben al di là degli austeri (e costosi) muri delle grandi università mondiali. Non è andata esattamente così, almeno finora.

Effetto pandemia

Coursera lavora con una serie di università italiane, dalla Bocconi all’università di Modena e Reggio Emilia per un totale di 45 istituti italiani e più di 15mila studenti coinvolti. “Dopo lo scoppio del coronavirus – dice l’amministratore delegato, Jeff Maggioncalda,  – il 12 marzo abbiamo lanciato la nostra iniziativa Campus Response Initiative pensato per le università che avevano rapidamente bisogno di insegnare online. E abbiamo aperto gratuitamente i nostri corsi “Coursera for Campus”: gratuiti fino a settembre. Quel che abbiamo visto è stata una rivoluzione: da 30 a 3.700 università che usavano Coursera, 2,4 milioni di studenti, 21 milioni di corsi erogati tra marzo e settembre. Questo in un momento in cui, secondo l’Unesco, il 90% delle università del pianeta erano chiuse”.

Adesso Coursera ha deciso di continuare, e dopo aver superato l’emergenza lockdown (risolvendo anche i fisiologici problemi tecnici di quello che è stato un gigantesco stress test della sua piattaforma, crescita del 500% in poche settimane; “Ma abbiamo retto benissimo“, dice Maggioncalda), ha preparato una ripartenza con una serie di nuove iniziative: Coursera for Campus adesso si “apre” con tre “piani”: lo “Student plan” che offre a ogni università la possibilità di erogare un corso gratuitamente per ogni studente all’anno, il “Basic plan” con 20mila licenze-studente gratuite e “l’Institution plan” che fornisce tutto il pacchetto di gestione dei corsi, materiali, esercitazioni, esami, e gestione di quella che con un eufemismo viene chiamata Academic integrity e che in realtà è l’insieme di procedure e tecnologie per impedire che gli studenti barino e copino agli esami o cerchino di alterare i risultati del loro studio.

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<h3>Il futuro della didattica</h3>
<p>Il punto centrale però è che cosa succederà in futuro. Secondo Maggioncalda il coronavirus ha rotto il ghiaccio, moltissime istituzioni, docenti e studenti hanno provato la <strong>didattica a distanza</strong> e una parte di questa esperienza d’ora in poi è destinata a restare parte del curriculum accademico degli studenti. Questa trasformazione va al pari con il remote working, che ha trasformato il modo con il quale pensiamo il posto di lavoro: non più solo un luogo fisico. Il risultato è che sia le università che le aziende avranno per sempre una componente di <strong>persone che parteciperanno “da lontano”</strong>. E questo avrà dei fisiologici impatti sulla forma delle città e sui luoghi in cui si creano i talenti e dove questi talenti vengono cercati.</p>
<p>“<em>Le università sono state più lente per esempio delle grandi aziende che fanno formazione, come la vostra Leonardo</em> – dice Maggioncalda – <em>ma adesso il cambiamento è iniziato e proseguirà con <strong>modalità di insegnamento mista</strong></em>”. Assicurata l’interattività, preparati corsi, esercitazioni ed esami pensati per il digitale e non più come fotocopie di quello che si fa nel mondo analogico degli atomi e della presenza in classe, sta per cambiare il mercato del lavoro e la forma delle città.</p>
<h3>Nuovi corsi</h3>
<p>“<em>Intanto</em> – dice Maggioncalda – <em>questa modalità darà la possibilità a tutti di inserire quelle che ritengo essere le tre materie fondamentali per qualsiasi laurea: <strong>business, computer science e data science</strong></em>”. Maggioncalda pensa a corsi semplici che offrano una alfabetizzazione su temi come <strong>la capacità di fare un business plan</strong> o leggere un bilancio, <strong>la capacità di utilizzare gli algoritmi di base</strong> e l’abc della programmazione in <strong>Python e Javascript</strong> e <strong>la parte base della statistica</strong>, visualizzazione e presentazione dei dati, utilizzo dell’intelligenza artificiale. “<em>Servono docenti capaci di insegnare queste cose a tutti, anche a chi studia archeologia o letteratura. Con i corsi online adesso è possibile farlo</em>”, dice l’ad.</p>
<p>Le conseguenze di secondo livello saranno l’esplosione della formazione: <strong>oggi esistono 26mila università </strong>che producono lauree riconosciute e circa <strong>20 milioni di studenti iscritti</strong> a uno di questi corsi. Le università seguono modelli diversi tra Paesi diversi, ma comunque tendono ad avere una impostazione medioevale, che poi è il periodo in cui sono nate: centri di conoscenza il più isolati possibile dal resto del contesto sociale e geografico. Questo cambierà, con la possibilità di andare all’università ovunque, anche in un’isola in mezzo al Pacifico (o al Mediterraneo).</p>
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Foto: AFP PHOTO / JEFF PACHOUD

Impatto sulle città

Formazione e lavoro a distanza vogliono dire però un’altra cosa, se si guarda alle conseguenze di lungo periodo: una trasformazione delle città (soprattutto in Europa) e la possibilità di creare aziende ovunque con imprenditori, manager e lavoratori che seguono i percorsi più diversi. “Siamo appena all’inizio”, dice Maggioncalda. Lui stesso, con più di venti anni di esperienza come amministratore delegato di aziende, si è convertito al lavoro da remoto durante il lockdown: “Prima non pensavo fosse la scelta giusta per un team che deve sviluppare prodotti in maniera rapida ed efficiente. Adesso ho visto che funziona e che siamo stati molto bravi”.

Si aprono nuove possibilità di vita: non c’è bisogno di pagare affitti stellari per vivere nelle grandi città e le aziende possono raggiungere i talenti di tutto il pianeta, anche quelli che non vogliono lasciare la provincia dove sono nati. È cominciata l’epoca dell’anti-emigrazione? “La differenza – dice Maggioncalda – la farà all’inizio il 5G ma io aspetto che arrivi la connessione a larga banda e bassa latenza via satellite, come quella di Elon Musk. Quello sarà il vero cambio di passo, perché accenderà Internet su intere parti del mondo in cui non arriva: Africa, India, America Latina, Europa dell’Est, aree rurali, aree disagiate. Internet è importante, come l’acqua potabile e l’elettricità. Ogni volta che parliamo con professori e scuole di queste parti del mondo ci dicono la stessa cosa: portateci internet e noi ci siamo. Ecco, sta per succedere”.

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