Covid-19, la risposta immunitaria potrebbe durare anche per anni

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Una volta guariti dal coronavirus, per quanto tempo non si rischia di reinfettarsi? È questa una delle domande cruciali a cui la comunità scientifica tenta di rispondere dall’inizio della pandemia da Covid-19. E oggi, ad aggiungersi alla crescente mole di ricerche che stanno provando a far luce sull’immunità, arriva un nuovo studio secondo cui la maggior parte delle persone presentano abbastanza cellule immunitarie per prevenire la malattia anche a distanza di mesi, addirittura anni. Precisiamo fin da subito che sebbene lo studio non sia ancora stato sottoposto a revisione e pubblicato, quindi, su una rivista scientifica, come riporta il New York Times è il più dettagliato sulla memoria immunitaria al coronavirus svolto finora. E in ogni caso è disponibile in pre-print su biorxiv.

Per capire che l’immunità al coronavirus possa essere a lungo termine, i ricercatori hanno reclutato 185 partecipanti, di età compresa tra 19 e 81 anni, guariti dalla Covid-19, e che avevano sviluppato sintomi lievi che non richiedevano il ricovero in ospedale. Dai loro campioni di sangue prelevati nei mesi dopo la guarigione, il team ha monitorato nel tempo quattro componenti del sistema immunitario: gli anticorpi, le cellule B (che producono più anticorpi secondo necessità) e due tipi di cellule T (o linfociti T), che contrastano specificatamente il virus. Dalle analisi, i ricercatori hanno osservato che gli anticorpi e le cellule T hanno mostrato un modesto calo da sei a otto mesi dopo l’infezione, le cellule B di memoria sono addirittura cresciute di numero a sei mesi dalla guarigione, un dato quest’ultimo del tutto inaspettato e ancora non del tutto compreso. Un declino lento nel breve tempo, spiegano i ricercatori, suggerirebbe che le cellule immunitarie possano rimanere nell’organismo molto a lungo. “Questa quantità di memoria immunitaria probabilmente impedirebbe alla stragrande maggioranza delle persone di contrarre una malattia che richiede il ricovero, e quindi più grave, per molti anni”, ha commentato l’autore dello studio Shane Crotty, virologo de La Jolla Institute of Immunology.


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La durata esatta dell’immunità è difficile da prevedere, perché la comunità scientifica non sa ancora quali livelli delle diverse cellule immunitarie sono necessari per fornire una protezione dal coronavirus. Tuttavia, i risultati di questo studio sono coerenti con quelli diffusi da altri laboratori. Ad esempio, i ricercatori dell’Università di Washington avevano già dimostrato che alcune cellule di memoria prodotte a seguito dell’infezione persistono per almeno tre mesi nel corpo. Mentre un altro studio preliminare, pubblicato la scorsa settimana su bioRxiv, evidenziava che l’immunità mediata dalle cellule T potrebbe durare fino a sei mesi, anche negli asintomatici e in chi ha sviluppato forme lievi della malattia. “Questi studi mostrano tutti in linea di massima lo stesso quadro, ovvero che una volta superate quelle prime settimane critiche, il resto della risposta immunitaria sembra essere piuttosto prevedibile”, ha commentato al giornale Deepta Bhattacharya, immunologa dell’Università dell’Arizona.

Ricordiamo, inoltre, che questi risultati rappresentano una sorta di sollievo per la comunità scientifica, viste le segnalazioni degli ultimi mesi secondo cui il rapido calo dei livelli di anticorpi comporterebbe che la difesa immunitaria al coronavirus possa scomparire in pochi mesi. Ma, come ricordano molti immunologi, oltre al fatto che sia naturale che diminuiscano in breve tempo, gli anticorpi rappresentano solo una parte della protezione messa in atto dal sistema immunitario. Sebbene, infatti, gli anticorpi nel sangue siano necessari per bloccare il virus e prevenire una seconda infezione, le cellule immunitarie che “ricordano” il virus sono responsabili della prevenzione di malattie gravi. “Ciò che dobbiamo capire è se la reinfezione sarà o meno un problema. E quindi avere le prove che suggeriscono un tipo di risposta persistente e robusta, almeno a queste scale temporali, è molto incoraggiante”, ha spiegato Jeffrey Shaman, della Columbia University, sottolineano che almeno fino ad oggi le re-infezioni da coronavirus sembrano essere piuttosto rare.

Via: Wired.it

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