L’Europa prova a risolvere l’enigma del ranking

La Commissione chiede alle piattaforme di rendere noti i parametri che gli algoritmi usano per il posizionamento dei risultati e aiutare le piccole imprese a migliorare le proprie vendite online

enigma (MK Hamilton - Unsplash)
enigma (MK Hamilton – Unsplash)

Nei cento metri vince chi corre più veloce. A scala 40 chi chiude per primo. A bowling chi fa più punti buttando giù il maggior numero di birilli. Ma quando un negoziante, un ristoratore o un albergatore compete con gli altri su una piattaforma online per provare a vendere un prodotto, una cena o una camera di hotel, i parametri con cui l’algoritmo decide chi sale sul podio dei risultati di ricerca sono molto più complessi. E spesso difficili da decrittare.

Quel che è certo è che persino stare un gradino più in basso in elenchi di centinaia o migliaia di risultati può fare la differenza in una vendita online. Nielsen Norman, azienda specializzata in analisi della user experience, nel 2018 ha calcolato che nel 57% dei casi lo sguardo dell’utente si ferma nella parte alta di un sito e nel 74% non scende oltre i primi due blocchi. Non a caso in rete fioccano le offerte di società specializzate nel miglioramento del fatidico ranking. Che è un po’ come la ricetta della Nutella o la formula della Coca-Cola: si conoscono gli ingredienti, ma non la combinazione che ha reso celebri in tutto il mondo la crema spalmabile della Ferrero o il tonico del dottor Pemberton.

Tuttavia per le piattaforme che lavorano in Europa, da Google ad Amazon, da Tripadvisor a Booking, da Airbnb a Glovo ad Alibaba, per un totale di diecimila indirizzi che fanno da intermediari, è scattato l’obbligo di svelare gli ingredienti principali della loro ricetta. A luglio è entrato in vigore un regolamento datato 2019, il 1150, detto P2b (platform to business), con cui la Commissione europea ha imposto a queste grandi vetrine maggiore trasparenza su termini del servizio, ingaggio e oscuramento del profilo. E qualche giorno fa Bruxelles ha pubblicato le linee guida per fare chiarezza sui propri meccanismi di ranking.

Le regole del ranking

Ventisei pagine, attese da questa estate, elencano i parametri che Bruxelles caldeggia alle piattaforme (non è obbligatorio) di comunicare ai venditori iscritti per capire quali influiscono sul loro posizionamento. Le variabili portate a esempio sono 101: dalla velocità di caricamento della pagina al protocollo https, dalle condizioni di check-in in un albergo ai programmi fedeltà, da recensioni e punteggi degli utenti al pagamento di spazi pubblicitari.

L’obiettivo della Commissione è decrittare il funzionamento dell’algoritmo senza violare il segreto commerciale delle aziende e dare più informazioni alle piccole imprese per competere ad armi pari con le piattaforme, in un mercato, quello del commercio elettronico, che l’associazione comunitaria del settore Ecommerce Europe, prevede raggiungerà nel 2020 un giro d’affari di 717 miliardi di euro (+12,7% sul 2019).

La strategia della vicepresidente della Commissione, Margrethe Vestager, che ha la delega alla concorrenza, consiste nell’accerchiare le piattaforme. Da un lato smantellarne le posizioni di predominio con indagini e multe salate, come la recente inchiesta a carico di Amazon per l’uso dei dati dei venditori. Dall’altro costruire un nuovo sistema di regole del gioco che riduca le distanze tra piccole imprese e colossi globali. Il Digital service act e il Digital market act, i due pacchetti in arrivo il 15 dicembre, sono stati annunciati come il culmine di questa operazione.

La trasparenza è la via europea e stiamo dando l’ultimo ritocco alle regole per tutti i servizi digitali perché cooperino con i regolatori e per le piattaforme più grandi perché forniscano più informazioni su come funzionano i loro algoritmi”, ha detto Vestager.

Gli ingredienti del ranking

Ai venditori, recita il regolamento, ogni piattaforma deve fornire una descrizione per “comprendere chiaramente se, come e in qual misura il meccanismo di posizionamento tiene conto delle caratteristiche dei ben e dei servizi”, della loro pertinenza rispetto alla ricerca e, nel caso dei motori di ricerca, del ruolo dell’aspetto grafico di un sito. In questo modo i marketplace sono tenuti a migliorare la prevedibilità” dei risultati della ricerca e “ottimizzare la presentazione” di beni e servizi. A un sondaggio dell’Osservatorio sull’economia delle piattaforme online (un gruppo di esperti che collabora con la Commissione), solo metà degli intervistati ha risposto di sentirsi trattato in modo equo dalle piattaforme quando si tratta di ranking e posizionamento. E solo il 33% si sente poco o per nulla dipendente dai marketplace. Come dire: sono loro che dettano legge.

Per decrittare l’algoritmo, Bruxelles chiede di precisare quanto incidono il comportamento dei consumatori e la loro cronologia delle ricerche. Per esempio, le piattaforme dovranno precisare se, avendo cercato in precedenza notizie sulla Cina, alla domanda su “ristoranti a Milano”, i risultati diano la precedenza a quelli di cucina orientale. O se un venditore può essere premiato dal fatto di essere presente su più marketplace, di avere ricevuto il massimo dei voti dalle pagelle degli utenti (tipo le cinque stelle che si vedono su Google o i punteggi su Tripadvisor), il tono delle recensioni o l’assegnazione di marchi di qualità.

Altra variabile da chiarire è il funzionamento dei filtri. E le conseguenze che possono avere su altre caratteristiche con cui l’algoritmo decide a chi dare la precedenza. Se scelgo di visualizzare le camere d’albergo che costano tra 5 e 50 euro, che peso acquisiscono altri fattori nel determinare il ranking degli hotel?

Si sa che, nel caso di Amazon, la velocità della consegna è un fattore premiale nel ranking. In generale la Commissione si aspetta che i portali precisino quanto conta il ricorso alla logistica dell’intermediario, considerati più efficienti, o a strumenti di analisi, magari a pagamento. Infine c’è il ruolo del machine learning. Se l’apprendimento automatico dei sistemi di intelligenza artificiale modifica i parametri più influenti nel ranking o il loro peso relativo, le piattaforme devono specificarlo.

Visibilità a pagamento

Solo in Italia Amazon dichiara di avere a bordo 14mila piccole e medie imprese. Conquistarsi un posto al sole non è scontato, ma esistono pur sempre le sponsorizzazioni. Spazi pubblicitari, consigli per gli acquisti, programmi di affiliazione e piani fedeltà sono tra gli strumenti che le piattaforme offrono per guadagnare la ribalta. Il solo colosso dell’ecommerce ha quintuplicato tra il 2016 e il 2018 i ricavi da pubblicità. E nei primi sei mesi del 2020 ne ha ricavato 8,1 miliardi di dollari. Il regolamento P2b chiede di mettere in chiaro quanto incidano i corrispettivi sul ranking. Sotto la definizione di “corrispettivo” ricadono varie operazione, da un pedaggio per scalare le posizioni sul posizionamento a obblighi aggiuntivi (come un deposito di garanzia).

Dalle linee guida la Commissione non si aspetta solo che le piattaforme consegnino lenzuolate di parametri ai venditori, ma che precisino il peso relativo di ciascun fattore. Una app di food delivery, per esempio, potrebbe prediligere la vicinanza del ristorante all’utente, un’altra la presenza nel menù dei piatti più ricercati. L’idea, insomma, è che le piattaforme facciano da maestre sull’uso dei propri strumenti. Premiare la qualità? Ottimo. Ma cosa significa qualità per un marketplace? L’Europa si attende che sia spiegato.

La trasparenza dei parametri è uno degli elementi utili per riequilibrare il mercato digitale. Come emerge da una ricerca commissionata dall’Osservatorio europeo sull’economia delle piattaforme, pesa anche la condivisione dei dati, che le piattaforme hanno in grande in quantità ma distribuiscono con il contagocce o in maniera aggregata ai merchant. “Molte imprese lamentano che queste informazioni non sono abbastanza granulari” per estrarne valore.

Cambio di paradigma

Le piattaforme non avranno che dei benefici ad aumentare la trasparenza – osserva Roberto Liscia, presidente di Netcomm, consorzio che riunisce gli operatori italiani dell’ecommerce -. Oggi c’è una nuova dimensione di trustability (affidabilità, ndr) della catena del valore e della rete, perché siamo in una economia di piattaforme”. “Lato fornitore, questa trasparenza ha un valore economico”, chiosa Liscia. Ma anche per il consumatore, che pure non vede direttamente l’impatto di questo intervento, “un maggiore controllo sul comportamento delle piattaforme restituisce affidabilità”.

Secondo il presidente di Netcomm, questa spinta avrà riflessi anche “sulle competenze dei piccoli”. Conoscere i parametri non basta: occorre anche saperli governare, come si è capito durante la pandemia, quando l’online è stato il canale che ha salvato il giro d’affari di molti piccoli negozi. Ebay e il centro studi Kantar hanno calcolato che per Natale il 21% degli italiani farà acquisti in rete. Per questo anche le piccole attività devono poter giocare ad armi pari con le piattaforme attraverso cui vendono. E capire qual è quella più adatta alla propria offerta. “La concorrenza sarà tra piattaforme, solo nel campo b2b ne abbiamo censite 400 al mondo – dice Liscia -. Conoscere le variabili e il loro peso restituirà il format competitivo di ciascuna piattaforma e gli elementi di differenziazione per posizionarsi sul mercato”.

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