La sfida impossibile: comprendere la realtà con la filosofia quantistica

Meccanica quantistica
(Immagine: Unsplash)

Immaginate di aprire il settimanale e di trovare, tra le pagine dei giochi, un sudoku. E poi, dopo aver passato tutta la mattina a cercare di risolverlo, di rendervi conto che non esiste alcuna soluzione. Certamente pensereste di aver fatto un errore. E ricomincereste da capo, questa volta magari iniziando dalle caselle che vi erano rimaste da riempire e procedendo a ritroso. Ma poi succede lo stesso: vi rimangono poche ultime caselle e vi rendete conto che, ancora, non c’è alcuna soluzione.

Ecco, comprendere com’è fatta la realtà usando le regole della meccanica quantistica è un po’ come voler risolvere un sudoku impossibile. Non è importante da dove si comincia: si finisce sempre in un paradosso che ci costringe a ripensare al modo in cui funziona il mondo (e tra l’altro è proprio questo a rendere la meccanica quantistica così divertente).


La realtà oggettiva non esiste: ecco un nuovo esperimento di fisica quantistica


Lasciate che vi accompagni in un breve giro del mondo secondo la meccanica quantistica visto con gli occhi di un filosofo.

L’inquietante azione a distanza

Per quel che sappiamo, la velocità della luce (circa 300mila chilometri al secondo) è il limite massimo di velocità raggiungibile nell’Universo. Albert Einstein non riuscì a convincersi del fatto che i sistemi quantistici potessero influenzarsi l’un l’altro più velocemente di quanto un segnale luminoso poteva viaggiare tra loro.

Negli anni Quaranta, Einstein chiamò questo effetto “inquietante azione a distanza”. Quando la meccanica quantistica, qualche anno prima, aveva previsto un effetto del genere, rispose che la teoria era evidentemente incompiuta, e un modello migliore avrebbe rimesso in ordine quello che non tornava.


“Così abbiamo dimostrato che la realtà oggettiva non esiste”


Il punto è che oggi sappiamo che è molto improbabile che ci sia un “modello migliore” della meccanica quantistica. E se pensiamo che effettivamente il mondo sia composto di “cose” ben definite e indipendenti (nel senso che non dipendono da chi le osserva, e da come le si osserva), allora deve necessariamente essere consentita l’inquietante azione a distanza tra queste “cose”, qualsiasi esse siano.

Perdere di vista la realtà

“E se il mondo non fosse composto di ‘cose’ ben definite e indipendenti?”, vi sarete certamente chiesti a questo punto. “Potremmo sbarazzarci dell’inquietante azione a distanza?”. Sì, potremmo. E molti fisici, effettivamente, la pensano in questo modo. Ma purtroppo neanche questo può essere di consolazione per Einstein. Lo scienziato tedesco ebbe un lungo dibattito con il collega danese Niels Bohr proprio su questa questione. Bohr sosteneva che avremmo dovuto sbarazzarci dell’idea che le ‘cose’ del mondo fossero ben definite, proprio per liberarci anche dell’idea dell’azione a distanza. Dal punto di vista di Bohr, il mondo non ha alcuna proprietà definita finché non lo osserviamo. Quando non lo stiamo osservando, il mondo così come lo conosciamo non è realmente lì.

Anche questo non andava giù a Einstein, che insisteva sul fatto che il mondo deve essere fatto in qualche modo indipendentemente dal fatto che lo stiamo osservando. Altrimenti non potremmo parlare a nessun altro di come è fatto il mondo. E non potremmo neanche fare scienza. Ma il problema di partenza rimaneva: non si può avere, contemporaneamente, un mondo di ‘cose’ definite e indipendenti dall’osservatore senza l’inquietante azione a distanza. Oppure… si può?

Ritorno al futuro

Il dibattito Bohr-Einstein è abbastanza famoso nella storia della meccanica quantistica. Meno lo è l’angolo nebuloso di questo problema di logica quantistica: un angolo in cui è possibile salvare sia l’idea di un mondo ben definito che quella dell’assenza dell’azione a distanza. Ma questo implica altre stranezze.

Se condurre un esperimento per misurare un sistema quantistico in laboratorio potesse, in qualche modo, influenzare lo stato del sistema prima della misurazione, Einstein forse potrebbe dichiararsi finalmente soddisfatto. Questa ipotesi è chiamata “retrocasualità”, dal momento che gli effetti dell’esperimento devono viaggiare all’indietro nel tempo.

Se pensate sia strano, non siete i soli. Non sono molti i fisici quantistici a dar credito all’ipotesi della retrocasualità. Che tuttavia non è poi così strana, se la si compara con la possibilità di un mondo in cui nulla è definito o in cui valgono le inquietanti regole dell’azione a distanza.

Dall’Olimpo non si vede nulla

Immaginate Zeus appollaiato sulla cima dell’Olimpo, intento a osservare il mondo. Immaginate che fosse in grado di vedere tutto quello che è successo, che succede e che succederà, ovunque e per sempre. Chiamatelo lo “sguardo di Dio” sul mondo. È naturale a questo punto pensare che deve esserci un modo in cui è fatto il mondo, anche se solo Dio può vederlo.

Le ultime ricerche nel campo della meccanica quantistica suggeriscono che uno “sguardo di Dio” è impossibile, anche solo in linea teorica. In alcuni strani scenari quantistici, scienziati diversi possono esaminare attentamente i sistemi nei loro laboratori e registrare precisamente ciò che vedono, ma poi, confrontando le diverse registrazioni, trovarsi in totale disaccordo. E, ancora più paradossale, non c’è modo di capire chi ha ragione, o se qualcuno ha ragione. Neanche Zeus potrebbe.

Quindi: la prossima volta che siete alle prese con un sudoku impossibile, state tranquilli. Siete in buona compagnia. Tutta la comunità dei fisici quantistici – e anche Zeus – sa esattamente cosa si prova.

Conversation

Fonte: The Conversation. Traduzione a cura della redazione di Galileo.
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