Francesca: « Prof non la sento più, e con lei, a volte, non sento neanche più me»

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«Prof non la sento».

Questa è la frase che la maggior parte degli studenti è solita a pronunciare.

Ma ormai non ci riferiamo più a problemi di connessione. Ad un Wi-Fi poco efficiente o ai nostri dispositivi che spesso impossibilitano il dialogo con i docenti. Ci riferiamo ad un’assenza, ad una mancanza, ad un vuoto che ormai dilaga e diventa sempre più difficile da colmare.

Prof non la sento più, e con lei, a volte, non sento neanche più me. Inizialmente il nuovo modo di fare scuola aveva catturato il mio interesse; era un evento che aveva stravolto la mia quotidianità.

Ma con il passare del tempo ho iniziato ad accusare le prime perplessità, dubbi ed incertezze. In una situazione di totale anomalia si cercava in qualsiasi modo di fare posto alla normalità a cui eravamo sempre stati abituati, e questo tentativo si è rivelato un grande fallimento.

Il nuovo modo di fare scuola doveva necessariamente escludere il vecchio per esistere. Ma questo non è stato compreso: il risultato è stato una terribile confusione di cui ancora oggi, dopo mesi di lezioni online, siamo partecipi.

La sensazione è quella di correre con gli occhi bendati: oltre a non sapere dove siamo diretti, siamo anche soggetti a diversi pericoli a cui non possiamo prestare attenzione perché, a quanto pare, l’interesse è sempre e solo focalizzato sull’efficienza delle prestazioni e mai sulla bellezza e la pienezza del percorso.

Questa attitudine era evidente in presenza, ma come tutte le problematiche che affiancavano la nostra vita prima del Covid, sono notevolmente peggiorate, trascinandosi nel baratro l’entusiasmo e la brillantezza giovanile che permettono ai ragazzi di rispondere all’appello, alla chiamata di abitare la vita.

Il piattume e la monotonia delle nostre giornate che ormai si consumano nello schermo del nostro computer hanno debilitato, dopo tutto questo tempo, la spontanea ricerca verso il bello: rispondiamo all’appello dell’insegnante, senza essere consapevoli di esserci. Ciò che ci circonda non riscuote più risonanza emotiva e così, i più sognatori e ribelli, si rifugiano nell’arte.

Tutto ciò che può salvare il nostro io dalle circostanze atipiche di questo periodo è l’arte che, con pochi strumenti, rende possibile l’evasione e, allo stesso tempo, l’immersione nei nostri pensieri.

Se con l’approccio psicologico alla scrittura di Dostevskij possiamo scendere nel nostro sottosuolo, con Picasso spazziamo via la polvere della quotidianità dai nostri animi, risollevandoci ed ergendoci titanicamente sulle negatività che ci affliggono proprio come la ginestra di Leopardi, trovando la vita nella solitudine e nella desolazione. Il semplice fiore del Poeta ci ricorda la semplicità, ma allo stesso tempo la grandezza di un fiore, che nonostante il passaggio distruttivo della lava, rinasce, insegnandoci a rispondere sempre «presente» all’appello della vita.

Francesca Saliceti 5E Liceo Linguistico S. Quasimodo Magenta (MI)

Potete inviare la vostra lettera alla scuola all’indirizzo: lettere@vanityfair.it. Le lettere sono pubblicate nello speciale Cara Scuola, ti scrivo…

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