Anche Xiaomi finisce nella lista nera di Trump

L’accusa della Casa Bianca è di avere rapporto con l’esercito cinese. Divieto agli investitori americani di detenere le azioni. L’azienda respinge gli addebiti

01
(Foto: Xiaomi)

Con un colpo di coda al mondo della tecnologia cinese, l’amministrazione del presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha aggiunto uno dei più importanti produttori di smartphone del Dragone, Xiaomi, alla blacklist delle compagnie ritenute collegate alle società militari di Pechino.

Il provvedimento implica il divieto per gli investitori americani di acquistare azioni o titoli finanziari di tali aziende, 31 quelle elencate dal dipartimento della Difesa, e si rifà a un bando approvato a novembre, entrato in vigore l’11 gennaio. “La Repubblica popolare cinese sfrutta sempre più le risorse di capitale degli Stati Uniti per alimentare e rendere possibile lo sviluppo e la modernizzazione dell’esercito, dell’intelligence e degli altri apparati di security”, afferma il presidente uscente a proposito del provvedimento che costringe gli investitori a disinvestire o vendere, in merito alle aziende designate.

Xiaomi è stato il terzo produttore mondiale di smartphone nel terzo trimestre 2020, con 46,2 milioni di esemplari prodotti e una quota del 13%, superando per la prima volta Apple, secondo la società di analisi del mercato globale Counterpoint. All’apertura delle contrattazioni, le quotazioni di Xiaomi segnavano un calo del 10% alla Borsa di Hong Kong, spiega Cnbc. La blacklist include anche un altro colosso del tech cinese come Huawei. Va sottolineato però che Xiaomi non è stata aggiunta all’Entity list, che vieta alle aziende americane di commerciare materiali semiconduttori e tecnologie con le aziende designate, come la stessa casa di Shenzhen.

Gli smartphone di Xiaomi, per esempio, sono basati sui chip della compagnia americana Qualcomm e non è chiaro fino a che punto la blacklist possa influire sulla capacità di assemblare le componenti. L’azienda, che registra una crescita del 46% anno su anno e del 75% rispetto al secondo trimestre, potrebbe ugualmente proseguire la propria produzione e respinge le accuse. “Non siamo collegati, controllati o affiliati con l’esercito cinese, adotteremo le azioni opportune per proteggere gli interessi dell’azienda e dei suoi azionisti”, dichiarano da Pechino.

Leggi anche

Potrebbe interessarti anche

loading...