Tutte le scuse per non lavorare in Smart Working

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Smart working, le scuse per non lavorare

Quasi a non crederci, ma… Ecco tutte le scuse usate per non lavorare in Smart Working

A fine febbraio, per molti di noi, sarà un anno di smart working . E si cominciano a fare i primi bilanci per circa i 6,58 milioni che sono stati a casa a lavorare durante il primo lockdown, per poi arrivare ai circa 5,35 milioni attuali, come registrato dai dati aggiornati dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. Una crescita esponenziale per il  lavoro da casa che ha coinvolto soprattutto il comparto impiegatizio. Siamo passati dalle difficoltà iniziali al maneggiare con disinvoltura software di gestione di riunioni virtuali e clouding.

E immancabili con l’era dello smart working sono nate anche le nuove scuse digitali.

LE SCUSE PIÙ USATE

Il repertorio delle scuse più frequenti è ampio, tutte in linea con la nostra nuova normalità. Se il meeting, ad esempio, non va come dovrebbe è ovviamente tutta colpa della connessione Internet (66%), mentre per evitare di rispondere ad una domanda a bruciapelo, secondo il 67% dei rispondenti al sondaggio, si ricorre al microfono in mute. E poi: i rumori di sottofondo sono sempre responsabilità del partner in call (57%) o dei poveri vicini intenti a fare pulizie o ad ascoltare musica (43%). Per non parlare dei corrieri: citofonano sempre quando si sta per iniziare qualcosa di importante e ovviamente fanno fare tardi (24%). Come anche il più innocente, l’utilizzo di sfondi improbabili per nascondere il caos nell’appartamento quando si fanno le videochiamate di lavoro. Una soluzione classica e scontata per il 65% degli utenti coinvolti. È quello che è emerso da un sondaggio condotto tra la Instagram community di Wiko, produttore di smartphone secondo cui l’86% dei rispondenti ne ha usato più di una, mentre il 42% ha confermato di aver utilizzato almeno una volta una di queste giustificazioni per declinare una riunione o un meeting online.

TUTTO IL BELLO DELLO SMART WORKING

Ma se tutto questo può far sorridere, c’è anche un lato oscuro da tenere in considerazione. Se, da un lato, la tecnologia ha sopperito all’impossibilità di potersi incontrare e assembrare e offerto la digitalizzazione degli uffici, dall’altro ha ampliato i confini temporali e il concetto di «disponibilità» per cui il 43% dei partecipanti alla survey ammette di sentirsi sempre più in dovere di giustificarsi se non risponde immediatamente a un input. E questo è un punto importante perché introduce il concetto di reperibilità senza fine, uno degli svantaggi del lavoro da remoto.

Parlando dei vantaggi dello smart working, invece, c’è sicuramente quello di non doversi presentare in ufficio di persona e di conseguenza quello di poter trascurare il proprio look, motivo per cui il 72% dei rispondenti ha ammesso di ricorrere allo stratagemma di tenere spenta la telecamera durante i meeting per evitare di mostrarsi ancora in pigiama o con outfit improbabili. Anche se rimanere in pigiama è comunque una pessima idea se perpetrato come abitudine. Eppure, nonostante le scuse, i dati del Politecnico mostrano un importante incremento della produttività del lavoro svolto da remoto. La sfida per il futuro sarà quella di salvare “il buono”, recuperando i propri spazi e cogliendo solo i lati positivi della flessibilità. Innocenti scuse comprese.

Nella gallery, i 10 consigli di Cecilia Sardeo per uno smart working efficace. Ha riportato VanityFair.it.

 

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