Angelina Jolie nel nuovo mondo

Quando è sorto a Los Angeles il primo martedì di novembre dell’anno scorso, il sole ha portato con sé una promessa di buon auspicio. Alle 7 del mattino, le urne di tutta la California si aprivano per un’elezione che avrebbe segnato una generazione, mentre il team di British Vogue si fermava in una discreta tenuta nascosta in un angolo tranquillo di Los Feliz, su cui torreggiava un’affascinante villa in stile revival italiano costruita nel 1913 e immersa nella storia di Hollywood.

Proprio come la sua proprietaria.

Angelina Jolie – attrice, regista, attivista per i diritti umani – ci aveva invitato a passare due giorni con lei, aprendoci le porte del suo mondo. Dire che la casa che condivide con i sei figli – Maddox, 19 anni, Pax, 17, Zahara, 16, Shiloh, 14, e i gemelli 12enni Vivienne e Knox – è piena di vita, è un eufemismo. Risate, chiacchiere, cibo, cani, lucertole, discussioni politiche, musica, tagli di capelli improvvisati, riunioni su Zoom sono parte della vita quotidiana (i ragazzi sono finiti anche nelle foto, ovviamente). Come è ormai la norma, li ho raggiunti da Londra in remoto per lo styling. Angelina, che indossa gli stessi vestiti finché non sono completamente lisi e adora il vintage, ha condiviso alcuni dei suoi capi preferiti.

È stata una giornata straordinaria, e anche una lunga serata, e poi un altro giorno incredibile. Controllavamo compulsivamente il cellulare tra uno scatto e l’altro per vedere i risultati delle elezioni e ci sentivamo sempre più euforici. Qualche settimana dopo, Angelina, 45 anni, e io abbiamo fatto una lunga chiacchierata, e la sua risata calda e le pause pensierose sono affascinanti dal vivo come sul grande schermo.

Quello che segue è il ritratto di una donna, una madre e una ribelle. Con due decenni di esperienza come attivista per i diritti umani, e una serie di nuovi progetti artistici in arrivo, mi è sembrata riflessiva e aperta, cautamente speranzosa sia per il suo futuro sia per quello del mondo. Come sempre, ciò che colpisce di più di Angelina è che, indipendentemente da quello che la vita le mette davanti, la sua passione rimane immutata.

Angelina, che piacere chiacchierare con te. C’è un nuovo presidente alla Casa Bianca, sono stati fatti progressi positivi con i vaccini e siamo all’apice di una nuova stagione. Ti senti speranzosa?

«Be’, ripongo molte delle mie speranze per il futuro nelle giovani generazioni. Forse perché vivo con sei figli tra i 12 e i 19 anni, quindi ho quel particolare gruppo sotto gli occhi – e certamente vedo quanta pressione subiscono rispetto a noi alla loro età. Sono sopraffatti da una valanga di informazioni da cui noi eravamo al riparo. Ma vedo Mad (Maddox, ndr) online che parla in russo con qualcuno o con la Corea, o Shi (Shiloh, ndr) che saluta i suoi amici in Namibia, vedo come i giovani si mettono in contatto e si conoscono senza barriere geografiche. È così che cominceranno a risolvere i nostri problemi».

Come sono stati gli ultimi mesi per te? So che sei stata a casa a Los Angeles con i tuoi figli.

«Penso che, come la maggior parte delle famiglie, abbiamo dovuto fare i conti con questa realtà, ma naturalmente c’erano altri eventi nella nostra vita quotidiana. Il lockdown è iniziato quando Zahara era appena uscita dall’ospedale (aveva subito un intervento chirurgico all’inizio dell’anno, ndr), ed eravamo così felici che stesse bene che siamo entrati in isolamento con uno stato d’animo diverso. Ma poi ci sono stati anche altri eventi: Pax che comincia l’ultimo anno di scuola, ma non può godersi tutto quello che significa essere all’ultimo anno; Zahara che ha preso la patente, e ha fatto il test con l’esaminatore in tuta di protezione e con le mascherine. Non è come ti immagini quei momenti. Ma i compleanni passano e in un certo senso ci ha fatto sentire tutti molto umani insieme. C’è qualcosa di bello in questo».

Sono d’accordo. Abbiamo avuto il grande piacere di fotografarti nella tua casa, che è stata di proprietà di Cecil B. DeMille. Che meraviglia…

«Volevo che fossimo vicino al loro papà, che abita a cinque minuti da qui. All’inizio mi sembrava un po’ strano, era come intrufolarsi tra DeMille e Chaplin. Mi piace soprattutto il fatto che non abbia una sala d’intrattenimento, ma in compenso ci sono un sacco di sentieri e posti per camminare e pensare. Mi sento molto fortunata ad averli in questo momento».

Puoi descrivere una giornata tipica della tua famiglia?

«Be’, non sono mai stata molto brava a stare ferma. Anche se ho sempre voluto avere una famiglia numerosa e fare la mamma, lo immaginavo un po’ alla Jane Goodall, in viaggio, in mezzo alla giungla. Non mi vedevo come una mamma tradizionale. Sento che mi mancano le competenze per essere una tradizionale madre casalinga. Me la cavo perché i bambini sono abbastanza pazienti e mi aiutano, ma non sono per niente brava».

Oh, non ci credo!

«Io li adoro e sento che siamo proprio una squadra. Può sembrare un cliché, ma se ami fai del tuo meglio, e anche se finisci per bruciare le uova, in fin dei conti non importa. Ma hai visto i miei figli, sono piuttosto in gamba».

Sono la dimostrazione di come li hai cresciuti. Dovresti essere orgogliosa.

«Grazie». (ride)

Abbiamo trascorso insieme due giorni meravigliosi per fotografare questa storia. Sapevo quanto fosse importante che le immagini riflettessero dove sei arrivata come donna. Dove ti senti ora nella vita, che prospettiva hai sul mondo?

«Sento che ho superato alcune cose. Sto cercando di essere fiduciosa. Penso che sia qualcosa che abbiamo scoperto tutti grazie alla pandemia».

Una delle cose che stimo maggiormente di te è il modo in cui non perdi mai di vista le tue passioni. Pubblicherai presto un libro per bambini e ragazzi con Geraldine Van Bueren QC e Amnesty International: puoi dirmi qualcosa di più?

«Si chiama Know Your Rights (And Claim Them), conosci i tuoi diritti e rivendicali. Vogliamo aiutare i più giovani a identificare chi o cosa impedisce loro l’accesso ai diritti umani fondamentali e come cercare di difendersi. Il messaggio di base è: nessuno ha il diritto di farti del male, di zittirti».

Fantastico.

«I giovani sono impegnati, pronti a lottare. Ma c’è un livello di disinformazione che noi non abbiamo mai dovuto affrontare crescendo. Vogliamo che il libro contribuisca a dare loro gli strumenti per rafforzarli nella lotta per i diritti e renderli autonomi in modo molto pratico».

Un lavoro importante.

«Forse è solo la piccola punk che c’è ancora in me, ma mi piace lo spirito dei giovani. Credo che possano vedere quello che è giusto e sbagliato con maggiore chiarezza. Vedo un sacco di adulti trovare ogni genere di scuse per certi comportamenti, e di solito sono i giovani a dire subito: “Ma questo è semplicemente sbagliato, non lo accetto”. Io voglio rimanere così».

Sei inviata speciale dell’Agenzia Onu per i rifugiati. Sei con loro da una ventina d’anni, no?

«Vent’anni quest’anno».

Incredibile.

«Ho iniziato a vent’anni, sono partita con gli scarponi e lo zaino, volevo cercare di capire cosa diavolo stava succedendo nel mondo. Ho cercato di darmi un’educazione più vasta di quella che avevo avuto a scuola. Sono cresciuta in un luogo vuoto, per molti versi, quindi ho dovuto allargare i miei orizzonti».

Questa esperienza ti ha cambiato?

«Ho attraversato una fase in cui ero così sconvolta e arrabbiata per un sistema che tollera che milioni di persone vengano cacciate dalla guerra, dai genocidi, dalle persecuzioni. Sono ancora furiosa per le ingiustizie, ma mentre da giovane volevo abbattere il sistema, ho imparato che devo lottare per cercare di cambiarlo dall’interno».

Come ti senti quando ripensi al tuo lavoro con l’Onu?

«Ho un rapporto di amore-odio con l’Onu. Mi piace quando troviamo soluzioni pratiche per proteggere chi ha più bisogno. Adoro vedere persone di tutto il mondo che rischiano la loro vita per questo. Quello che detesto è la scarsa attenzione che i governi mostrano nel cercare di risolvere a monte i motivi per cui la gente è costretta a fuggire. Detesto quando non vengono difesi i diritti di tutti allo stesso modo. E anche quando sento che invece di incoraggiare le persone e i Paesi a essere indipendenti, i governi sembrano trarre vantaggio dal fatto che siano impotenti».

Pensi che il discorso sui profughi si sia evoluto negli ultimi due decenni?

«Direi che è peggiorato. Parliamo come se i profughi fossero un peso. Ma hanno dovuto adattarsi, hanno competenze diverse, uno sguardo diverso negli occhi. Si sono confrontati con la loro umanità in modo profondo, si sono opposti all’oppressione. Dovremmo rendere onore alla loro lotta, rendere onore a chi è fuggito dalle bombe e ha protetto i propri figli».

Hai diretto film e documentari, e stai per tornare dietro la macchina da presa per il biopic sul fotografo di guerra Don McCullin. Don è uno dei miei fotoreporter preferiti: cosa ti ha spinto ad adattare la sua autobiografia per il grande schermo?

«Sono ancora molto nervosa, persino l’altro giorno gli ho scritto per fargli delle domande, e ho riletto la mia email mille volte. Don è un uomo incredibile. Il film è su di lui, ma anche sui conflitti di cui è stato testimone, sul fatto che spesso nascondevano verità più oscure, e sulla vita delle persone in quelle fotografie ormai famose».

E più tardi quest’anno sarai sul grande schermo in Eternals della Marvel, con Richard Madden e Salma Hayek. Ho sentito che potrebbe esserci una tutina dorata.

«Adoro questo cast e il fatto che siamo riuniti tutti insieme. Sono felice di sostenere la visione di Chloé (Zhao, ndr) e l’impegno della Marvel ad ampliare la prospettiva su come vediamo i “supereroi”. Andare in giro dentro una tuta dorata non era proprio come immaginavo i miei quarant’anni ma è un tipo di pazzia positiva, mi pare».

Ti sembra di essere in una fase felice della tua vita?

«Non lo so. Gli ultimi anni sono stati piuttosto difficili, mi sono impegnata a rimettere in sesto la nostra famiglia. Sta guarendo lentamente, come il ghiaccio che si scioglie e il sangue che ricomincia a circolare».

È un viaggio…

«Non sono ancora arrivata, non ancora. Ma spero di farcela. Ci sto lavorando. Mi piace essere più matura. Mi sento molto più a mio agio nei miei quarant’anni rispetto a quando ero più giovane. Forse perché… non so… forse perché mia madre non ha vissuto molto a lungo, quindi c’è qualcosa nell’invecchiare che mi dà una sensazione di vittoria, più che tristezza».

Certo.

«Quindi mi piace. Non vedo l’ora di arrivare ai cinquanta: sento che a cinquant’anni raggiungerò il mio apice. Anche se l’altro giorno ero sul trampolino pronta a tuffarmi e i ragazzi hanno gridato: “No, mamma, non farlo. Puoi farti male”. E io ho pensato: “Dio, non è buffo?”. C’è stato un tempo in cui ero una star dei film d’azione, e ora i miei figli mi dicono di non tuffarmi perché hanno paura che mi faccia male».

Adoro questa cosa, sì. I bambini ti dicono sempre come stanno le cose.

«Anche se sono piccoli sanno che ciò che conta è sentirsi amati, sicuri. Proteggere quelli che ami ed evitare che si facciano male. Conoscere se stessi, la propria verità e non vivere nella menzogna».

Ti sei impegnata a crescerli come cittadini globali. Perché è così importante essere genitori in questo modo?


«Vengono da tutto il mondo. Quando vedo Mad muoversi in Cambogia, è casa sua. È un ragazzo cambogiano, e allo stesso tempo è anche un cittadino americano e un cittadino del mondo. Ma non è solo fondamentale che ci vada lui, è importante che ci vadano anche i suoi fratelli. Siamo stati molto fortunati ad avere una famiglia formata da culture e razze diverse. Stiamo imparando gli uni dagli altri».

Hai costruito una famiglia di individui.


«Sì, sento che è importante essere accettati, sai? Voglio dire, è fondamentale per le madri, e per i genitori in genere. Ma penso che lo sia ancora di più se hai figli adottati. Anche loro devono scegliere te. Non è che la famiglia è solo dei genitori e loro ci sono dentro. È la nostra famiglia».

Come genitore, che consiglio daresti per portare i figli ad acquisire una certa consapevolezza, sia sociale sia ambientale?


«Be’, so che può sembrare strano, ma è importante passare il messaggio che fare del bene o dare non sono un dovere. Se possiamo aiutare i bambini a rendersi conto che non si tratta di dovere o servizio, o carità, ma di godere di un’esistenza collegata a persone che si rispettano, la sensazione è molto diversa».

È stato meraviglioso durante il servizio fotografico vedere che i ragazzi si divertivano tanto con i vestiti. Sembra che abbiano tutti uno stile ben distinto.


«Non ho potuto imporre niente a nessuno, il che fa parte del divertimento. Sono tutti molto diversi».

Sono fantastici, vero?


«Molto». (entrambi ridono)

Come è cambiato il tuo rapporto con la maternità, man mano che i bambini crescevano, dall’inizio a ora?


«Io ero la migliore amica di mia madre. Mi è piaciuto averli, adoro stare sveglia di sera a parlare con i miei figli. Mi piacciono gli anni dell’adolescenza, ma anche quelli subito dopo. Adoro passare il tempo con loro».

Ogni tanto sono in disaccordo con te?


«Oh, sì… Pensano che io sia un po’ ridicola, come è giusto che sia. E mi conoscono tutti in modo diverso. Sai, hanno attraversato quel momento in cui si rendono conto che non c’è niente di speciale in me. Sono solo più vecchia. Non so risolvere tutto, ho solo buone intenzioni».

Sei la mamma.
«Sì, sono la mamma».

Sei sempre stata molto ponderata nelle tue scelte in fatto di abbigliamento.


«Investo in pezzi di qualità e poi li indosso fino a quando sono distrutti. Stivali, un cappotto preferito, una borsa, non li cambio spesso, sai? Sono sempre stata così».

C’è un elemento di sostenibilità anche in questo?


«Stiamo tutti cercando di capire come fare acquisti sostenibili, ma immagino che ci saranno sempre più regolamenti, e penso che sia la cosa migliore che possa accadere. Perché anche un consumatore attento può essere ingannato da una buona promozione di qualcosa che di fatto non è di qualità, giusto?».

Infatti.


«Godersi dei capi vintage fino all’ultimo, riscoprire i negozi di seconda mano mi sembra parte della strada da percorrere. E per quanto riguarda la bellezza, Guerlain è davvero uno dei miei preferiti. Z (Zahara, ndr) e io usiamo gli stessi prodotti di profumeria, come la crema doccia o la lozione idratante. Mi piace che io e lei ci ricorderemo anche per una fragranza. Soprattutto perché la mia prima memoria di Guerlain è stata il profumo della cipria di mia madre».

Hai parlato di Guerlain. Puoi raccontarmi del tuo progetto con loro e con le donne apicoltrici?


«L’obiettivo è quello di formare le donne in diversi Paesi, perché possano lavorare come apicoltrici. Infatti una delle prime donne a entrare nel programma viene dalla zona in cui lavoriamo in Cambogia».

Fantastico. C’è qualcosa che la gente non sa di te e che potrebbe sorprenderla?


«Oddio! Ho sempre sentito fare questa domanda e pensavo: chissà cosa risponderei se qualcuno me lo chiedesse. Ma non ho mai preparato la risposta. Mhmm. Qualcuno mi ha detto di essere rimasto sorpreso dal fatto che sotto sotto sono un’esperta di politica estera. Sono un po’ più noiosa di quanto la gente possa pensare… un po’ imbranata».

Infine, visto che faccio molta fatica a staccare, mi piacerebbe sapere cosa fai per cercare di rilassarti, così potrei prendere lezioni.


«Ah! Se qualcuno sapesse come si fa a rilassarsi, mi piacerebbe proprio prendere lezione. Non ho mai imparato però, e ho deciso, a 45 anni, che non succederà mai».

D’accordo. (entrambi ridono)
«Anzi, farò sempre di più».

Buona idea.
«Farò proprio così».

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