I lavori che servono davvero per svecchiare la pubblica amministrazione

Non solo digitale e non solo tecnici. La costruzione di enti pubblici efficienti richiede un mix di competenze e professioni diverse tra loro

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Nei prossimi anni la pubblica amministrazione italiana potrebbe richiedere 690mila assunzioni solo per gli effetti del turnover (fonte: Unioncamere-Anpal). A questi inserimenti, potrebbero aggiungersi altre 50mila figure per rispondere alle necessità correnti, compresa la gestione delle cifre monstre del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Oggi l’età media è di 50,7 anni, con un 16,9% di over 60. I trentenni, dato sconsolante, sono meno dell’1%. Il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, vuole lanciare nuovi concorsi. “Abbiamo stabilito un cronoprogramma serrato: cento giorni dalla pubblicazione del bando all’assunzione”, ha detto. Le prove generali si fanno al concorso per l’assunzione di 2.800 tecnici chiamati a supportare le amministrazioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia) nell’attuazione dei progetti del Recovery Plan.

Prima scrematura online sulla base dei titoli. I candidati rimasti in gioco verranno sottoposti a un’unica prova scritta per ciascun profilo. In pandemia (e si spera non solo) la prova sarà svolta a giugno in sedi decentrate su pc e tablet, senza carta e penna. Quaranta domande in sessanta minuti, inserimento a tempo determinato. “È la prima sperimentazione di selezioni fast track nella pubblica amministrazione italiana“, ha chiosato il titolare del dicastero.

Il problema delle candidature poco qualificate è esiziale, e rallenta sensibilmente  il meccanismo, nota un paper dell’Istituto di ricerche sulla pubblica amministrazione (Irpa). Che propone di creare una sorta di albo nazionale per gli abilitati sul modello delle libere docenze universitarie. La certificazione (temporanea) potrebbe essere rilasciata da una centrale unica pubblica.

Riprogettare gli enti pubblici

Ma quali sono le professionalità di cui ha bisogno il Paese? “A leggere il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza, ndr) sembrerebbe che tutti i problemi della pubblica amministrazione siano nella mancata digitalizzazione” annota Tito Boeri su Repubblica. Ma, prosegue l’ex presidente dell’Inps, “alcune amministrazioni pubbliche, come le agenzie fiscali, sono già fortemente digitalizzate, e questo non le ha messe al riparo da molte disfunzioni. Spesso, anzi, i difetti del software vengono utilizzati per coprire disservizi che sono di tutt’altra natura, incompetenze di dirigenti e interferenze della politica”. Inail, Agenzia delle Entrate e la stessa Inps sarebbero tra le più informatizzate, secondo l’economista.

E allora? Il turnover (la mera sostituzione di chi va in pensione) non basta. C’è bisogno di figure in grado di ripensare le procedure. Per esempio, di ingegneri gestionali, in grado di mettere in piedi “un piano certosino di reingegnerizzazione dei processi, vincendo le tante complicazioni e lentezze burocratiche imposte da una cultura spesso unicamente giuridica e dalle invasioni della politica nella gestione”, scrive Boeri.

Non solo ingegneri

Ma qualcuno si è spinto oltre. È il caso della Regione Emilia-Romagna, che ha messo a punto un concorso cui si può accedere con qualsiasi laurea. Si comincia con una ampia fase preventiva di analisi dei fabbisogni. Obiettivo, rispondere alla domanda: cosa servirà domani? “La logica del turnover è vecchia di vent’anni. Così, per uscirne, abbiamo raccolto idee e spunti dai direttori generali dando loro libertà totale di immaginare il personale del futuro, senza vincoli di sorta – spiega a Wired Cristiano Annovi, responsabile regionale del servizio Risorse umane, organizzazione e comunicazione dell’ente –. Perché non ci servono più  semplici esecutori ma trasformatori digitali”. Preferibilmente dotati di un certo grado di autonomia.

I primi risultati, spiega il dirigente, paiono interessanti. Essere trasversali paga.  “Trovare chi è in grado di leggere i processi e digitalizzarli è una sfida. Si può vincere, ma non è detto che la persona in questione abbia sempre una formazione ingegneristica – dice Annovi -. Ci sono  futuro e spazio anche per le lauree umanistiche, se sono accompagnate da un set di competenze tecniche di base”.

La resilienza in Comune

Per tutti, il tema centrale è rendere più umana la pubblica amministrazione. E se in Gran Bretagna hanno dato vita a un ministero della Solitudine, il Comune di Milano punta sulla capacità di adattamento. Piero Pellizzaro è il responsabile resilienza di Palazzo Marino.  “Tutto nasce da un’iniziativa dellaRockefeller Foundation a margine di un uragano nel 2012 – racconta a Wired -. Dopo il devastante evento, l’ente stanziò cento milioni di dollari da destinare ad altrettante città del mondo. A Milano il finanziamento è arrivato nel 2015, c’era ancora Pisapia (Giuliano, ex sindaco della città, ndr), e io sono stato assunto nel 2017 con un regolare concorso”.

Il suo ruolo? Spiega l’esperto: “Migliorare la risposta delle città ai problemi, aumentandone, ad esempio, la trasversalità. Lavorando con la direzione urbanistica abbiamo contribuito al Pgt (Piano di governo del territorio, ndr) costruendo un indice che stima il peso dell’architettura sull’impatto climatico, mentre con la direzione Transizione Ambientale abbiamo elaborato proposte per fronteggiare eventi meteo estremi come le ondate di calore o le grandi piogge. Durante la pandemia? Ci siamo occupati di strategie di adattamento al virus”.

Tra gli altri compiti in capo alla “direzione resilienza”  quello di monitorare e filtrare le tecnologie disponibili sul mercato scegliendo e proponendo quelle in grado di portare un vantaggio alla collettività. Pellizzaro sogna un “ufficio ricerca e sviluppo nei Comuni, che dialoghi con le università”. Che a Milano sono tante. Ma niente retorica. “Dei burocrati – dice – c’è bisogno, perché sono loro che traducono le nostre proposte in atti concreti. Sono esseri umani. E spesso i primi a essere consapevoli della rigidità delle procedure”.

Ma cos’è la resilienza per una città? “È la capacità di innovare senza dimenticare il passato. Riconoscere i propri shock e stress per  poi superarli – dice Pellizzaro -. Un esempio? Le città erano verdi fino agli anni Cinquanta, poi tutto è cambiato. Oggi si è avviato il processo inverso”.

Passaggio di testimone

C’è poi un tema sociologico. “La pubblica amministrazione non può più essere considerata semplicemente un posto di lavoro. C’è una letteratura sterminata sull’impiegato indolente che guarda l’orologio: da una parte i ‘garantiti’  del posto fisso e dall’altra quelli che ‘lavorano sul serio’. È ora di cambiare visione”, afferma Gianni Dominici, direttore generale di Forum Pa.

I bandi per le assunzioni sono spesso vecchi di dieci anni. Con i concorsi bisogna valutare anche le soft skills dei candidati, utili nel quotidiano. La mia proposta?  Oltre alle figure organizzative, prenderei anche degli psicologi in grado di fare coaching: progetti complessi hanno bisogno di persone capaci di creare empatia, di andare oltre la freddezza dei numeri”, dice. Come accaduto alla Provincia di Trento. “Hanno un bellissimo progetto di tutoring e scambio di competenze tra nuove leve e personale già assunto, che così si forma sulle ultime tecnologie”, racconta. Lo scontro generazionale, meglio lasciarlo al passato. Perché una pubblica amministrazione che funziona conviene a tutti.

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