Luana D’Orazio, morta per colpa di una cultura del lavoro sbagliata

Nei primi tre mesi di quest’anno ci sono state 185 morti bianche, nel 2019 le denunce per infortunio erano 644mila mentre un’indagine rivela che quattro aziende su cinque non rispettano i protocolli. La realtà è che in Italia la sicurezza è vista come nemica della produttività e le cose non miglioreranno se si va a vedere il Pnrr

immagine Ipa

Ogni tanto l’Italia si ricorda di uno dei suoi problemi sistemici più gravi, le morti sul lavoro. Se n’è tornato a parlare in questi giorni, dopo il tragico decesso della 22enne Luana D’Orazio, rimasta incastrata nell’orditoio di un’azienda tessile nell’area di Prato. La sua storia ha commosso tutto il Paese, che si è interrogato su come sia possibile che una ragazza così giovane, madre di un bambino di cinque anni, possa non tornare più a casa per un incidente simile in un luogo che invece dovrebbe essere un modello di sicurezza. Eppure, quella di Luana D’Orazio è solo una piccola tessera dell’enorme e drammatico puzzle italiano delle morti bianche.

Come sottolinea l’Inail, nel primo trimestre del 2021 ci sono già stati 185 decessi sul lavoro, un incremento dell’11,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Questo significa che in media in Italia muoiono di lavoro due persone al giorno e allora più che una tragica eccezione quella di Prato è una maledetta regola, accompagnata quotidianamente da storie simili. Sempre nel pratese e sempre in un’azienda tessile aveva perso la vita a febbraio l’operaio 22enne Jaballah Sabri, mentre il bollettino degli ultimi giorni ci dice per esempio che solo il 29 aprile sono morti tre lavoratori in giro per lo stivale, tra il cedimento di una trave in un deposito Amazon di Alessandra, la caduta di un gruista nel porto di Taranto e il crollo di un’impalcatura nel trevigiano.

I decessi sono solo la punta dell’iceberg, dal momento che c’è poi l’enorme capitolo di chi riesce a sopravvivere ma comunque subisce complicazioni sanitarie: nel 2019, ultimi dati disponibili, le denunce per infortunio sono state oltre 644mila. Storie che dovrebbero essere straordinarie e che invece sono ordinarie, simbolo del problema sicurezza sul lavoro su cui in Italia non si riesce mai a intervenire. L’Ispettorato nazionale del lavoro ha esaminato ultimamente un campione di 10mila aziende e ha rilevato un tasso di irregolarità del 79,3%, questo significa che in Italia in quattro aziende su cinque non vengono rispettati tutti i protocolli securitari. 

Sorvegliare è difficile, soprattutto nelle piccole e medie imprese come quella dove ha perso la vita Luana D’Orazio, non obbligate per legge ad avere un rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Spesso c’è il tema del lavoro nero, che riguarda oltre tre milioni di persone senza contratto e che si ritrovano a svolgere le loro mansioni in assenza di alcuna tutela. Poi quello delle nuove economie, che hanno come unico pilastro la velocità e dove l’offerta di un servizio al consumatore nel minor tempo possibile diventa l’unica cosa che conta, a scapito della salute dei lavoratori – come nel caso dei rider e dei fattorini, come insegna il capolavoro di Ken Loach Sorry we missed you.

Ma la questione di base rimane l’apparato legislativo italiano, mai abbastanza adeguato. La cultura imprenditoriale, che poi influenza la politica, è che la sicurezza è un impedimento alla produttività e che dunque i paletti sotto questo punto di vista non possono essere troppo stringenti. Giulio Tremonti quando era ministro dichiarava che il decreto sulla sicurezza nei luoghi di lavoro era un lusso che non potevamo permetterci e ancora oggi viviamo immersi in una logica di questo tipo. 

I continui tagli agli ispettori sono la più ampia dimostrazione di una cultura del lavoro sbagliata dal punto di vista della politica. Basta poi leggere il nuovo Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), quello che garantirà una pioggia di miliardi europei all’Italia per la ricostruzione, per averne una conferma. Mentre si parla di opere infrastrutturali e sviluppo in tutte le salse, mentre ogni problema viene ricondotto al tema della produttività, manca di conseguenza ogni focus sulla sicurezza sul lavoro. 

Le proposte sindacali per una rivoluzione che metta fine alla strage tipicamente italiana sul lavoro si sprecano, tra la nascita del cosiddetto “omicidio sul lavoro”, la “patente a punti” per gli imprenditori e la maggiore sorveglianza ispettoriale sui luoghi di lavoro. Ora sta alla politica far sì che la morte di Luana D’Orazio e dei tanti altri lavoratori come lei siano le ultime.

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