Chi sono i “ni vax”, il vero nemico del piano vaccinale

Non sono negazionisti ma hanno paura e preferiscono rimanere in una “comfort zone” in realtà altamente rischiosa. Per persuaderli e arrivare all’immunità di gregge, bisogna rifarsi alla medicina territoriale

Un milione di vaccini somministrati ogni giorno a giugno, seconde dosi anche fuori regione nei luoghi di villeggiatura per non arrestare il turismo estivo, immunità di gregge entro fine settembre. Sono questi i nuovi ambiziosi obiettivi per la lotta al virus snocciolati dal commissario all’emergenza Covid, il generale Francesco Paolo Figliuolo, che sta lavorando per renderli effettivamente raggiungibili con una road map che si basi in modo deciso sulla medicina territoriale. Perché tutto funzioni, però, c’è un altro elemento da non trascurare: quello dei no vax, una categoria comunque minoritaria, e quello dei cosiddetti ni vax, coloro cioè che in principio non sono ostili ai vaccini ma che oggi vivono le scorie del disastro comunicativo Astrazeneca e dunque non hanno più fiducia nelle somministrazioni. Per far uscire l’Italia dalla pandemia occorrerà lavorare anche su questo.

brevetti

Un sondaggio di qualche settimana fa raccontava che due insegnanti su dieci non hanno intenzione di farsi inoculare la seconda dose del vaccino anglo-svedese. A marzo un’altra indagine di YouGov aveva rilevato un crollo della fiducia in Astrazeneca, tanto in Italia quanto negli altri paesi europei. Il delirio sulle trombosi che si contano sulle dita di una mano a fronte di milioni di inoculazioni, i dietrofront continui delle autorità di vigilanza, le sospensioni temporanee delle somministrazioni e un certo allarmismo clickbait della stampa hanno contribuito tutti insieme a creare questo clima di sfiducia che poco ha a che fare con l’universo no vax e che semmai può essere ricondotto al campo dell’ipocondria, ma anche alla ragionevole pretesa delle persone di completa trasparenza riguardo a quello che entra nel proprio corpo. Il problema è poi rientrato, la campagna vaccinale è ripresa spedita ma non nella componente Astrazeneca, che ancora vive le conseguenze dei tanti errori di comunicazione (ma anche della querelle con l’Unione Europea sui contratti non rispettati, tanto che non ci sarà il rinnovo degli ordini dopo giugno).

Se quindi già c’era l’ostacolo no vax a cui dover far fronte, la malagestione pubblica dell’affaire Astrazeneca ha contribuito a creare, anzi a ingrossare, quell’esercito dei “ni vax” già intimorito a livello concettuale da un vaccino sviluppato in fretta e furia. Mentre oggi la campagna vaccinale accelera e raggiunge le 500mila somministrazioni al giorno, mentre si punta a raddoppiare questo numero nel giro di un mese e si intravede lontano l’obiettivo dell’immunità di gregge, non si può ignorare nella pianificazione della lotta alla pandemia quella fetta di popolazione che un vaccino non lo riceverà per scelta. Da una parte potrà intervenire il potere coercitivo, che riguarderà soprattutto la minoranza negazionista e che, come ha sottolineato Figliuolo, “può arrivare fino alla risoluzione del contratto di lavoro”. Ma per i nì vax la strategia dovrà essere diversa, è necessario spendersi a livello istituzionale per ricostruire un rapporto di fiducia con i vaccini che c’era ma che è andato perduto per ragioni esterne a chi oggi non se la sente più di farsi inoculare una dose.

Serve lavorare su una buona comunicazione ma serve anche focalizzarsi sulla prossimità, come in effetti ha riconosciuto lo stesso commissario all’emergenza Covid. Nei piani vaccinali dovranno essere coinvolti sempre di più i medici di base, i farmacisti, quelle figure che da una parte potranno garantire un piano di inoculazione più capillare e che dall’altra godono di un rapporto diretto, fiduciario, con i loro pazienti e clienti, che si ritroveranno così più rassicurati se il vaccino sarà somministrato da loro rispetto che da uno sconosciuto in un hub freddo e neutro. Quella medicina territoriale affossata dai modelli sanitari come quello lombardo, l’elemento scatenante del dilagare della pandemia, diventa ancora una volta fondamentale, un settore su cui investire, per dare una forte accelerata alla campagna vaccinale ma anche per lavorare sui fianchi della corazzata “ni vax”. Per arrivare all’immunità di gregge nel più breve tempo possibile non si può prescindere dalla costruzione della fiducia, da un piano di comunicazione che metta le toppe agli errori dei mesi scorsi:

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