Gabriel Garko: “Così mi sono ripreso la mia vita. E le donne mi saltano ancora addosso!” – esclusivo

La casa di Gabriel Garko inizia come una fortezza, con un recinto alto quattro metri e il cancello che svetta per altri due. Continua dentro un parco che tende al selvaggio e finisce in una bella villa con i pavimenti in pietra lavica, un’infilata di saloni a tema (c’è la stanza giapponese, quella barocca, lo studio consacrato all’arte) e una mano di bianco che va rischiarando qualche parete e un paio di soffitti scuri. Garko è fatto alla stessa maniera: guardingo, sulle prime, e poi spontaneo, quasi felice di aver attraversato tanto buio – «E voi che vedevate solo le luci della ribalta!» – se la ricompensa sono questi sprazzi di verità, queste mani di bianco. La frase che lo mette più a fuoco, e fotografa meglio il momento, la dice a fine intervista, a registratore spento, in mezzo a una risata che è un fuoco d’artificio. – foto | video 1 | video 2

Sembra il rifugio di uno che vuole proteggersi dal mondo. «E invece è stato il mio grande gesto di libertà. L’ho comprata 17 anni fa, quando buttai giù il primo dei tanti muri che mi tenevano prigioniero».

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Quale muro? «Diciamo che non ero autonomo. Mi ribellai e presi questa villa: avevo bisogno di un posto lontano da tutti (la casa è nel verde di Zagarolo, a mezz’ora da Roma, ndr), dove poter essere me stesso. E vivere in pace la mia vera relazione, mentre sulle copertine si alternavano le mie finte fidanzate, e si “pianificava” la mia fama di latin lover».

Con chi aveva questa «vera relazione»? «Con un ragazzo che si chiama Riccardo. Qui eravamo liberi, anche se quando veniva qualcuno dovevamo nasconderci. Invitavo degli amici a cena? A fine serata lui fingeva di andarsene, si faceva una mezza passeggiata e poi rientrava. Quando al mattino arrivava la donna delle pulizie, si faceva trovare nel letto degli ospiti anche se avevamo dormito insieme. È durata 11 anni, mi ha salvato».

Salvato da cosa? «Era in una goccia di verità in un mare di menzogne».

Il suo agente era Alberto Tarallo. «È il passato, non voglio parlarne».

Qui va fatta una digressione. Garko è stato la punta di diamante di Ares Film, società che per anni ha fornito a Mediaset fiction “chiavi in mano”. Nel suo organigramma c’erano il produttore (Tarallo), lo sceneggiatore Teodosio Losito (compagno di Tarallo), una scuderia di artisti che comprendeva anche Manuela Arcuri, Eva Grimaldi e Adua Del Vesco (che si sono succedute nel ruolo di finte fidanzate di Gabriel). Una macchina sforna-successi franata in un amen: nel 2019 Losito è morto in circostanze poco limpide (si sarebbe impiccato con una sciarpa legata a un termosifone); nel 2020 è fallita la società; durante l’ultimo Gf vip due suoi attori – la Del Vesco e Massimiliano Morra – parlando fra loro hanno espresso dubbi sulle fine di Teo Losito, spingendo la procura ad aprire un fascicolo per istigazione al suicidio prima contro ignoti, poi contro Tarallo.

A luglio compirà 50 anni. «Ma ne festeggerò sei. Il mio nuovo “me” è nato a Sanremo, nel 2016, in quel Festival che iniziò con una tragedia».

Ci fu un’esplosione nella villa che la ospitava: morì la proprietaria, lei si salvò per un soffio. «L’incidente mi fece saltare le prove, allora decisi di buttarmi: non sarei stato perfetto, sarei stato me stesso. Con la mia imbranataggine, l’autoironia».

Funzionò? «Sì, anche come terapia. Fino ad allora non ero quasi esistito: ero un personaggio che aveva la mia faccia, ma era stato “pensato” da altri. Io inciampo, faccio gaffe, non so leggere il “gobbo” (lo schermo su cui scorre il testo dei conduttori, ndr), un animale che odio, perché si muove e le parole ci ballano sopra, e mi sfuggono. Sono stato così naturale, che dietro le quinte hanno iniziato a farmi gli scherzi: acceleravano il gobbo, me lo spegnevano… Con il Garko di prima non si sarebbero mai permessi. Sanremo è stata la mia dichiarazione d’indipendenza».

Da cosa? «Dal perfezionismo, anzitutto. Poi mi dissi: “Vedi, Gabriel, anche se decidi da solo, non fai stronzate”. Mi avevano abituato a pensare che, se non seguivo le loro direttive, avrei combinato disastri. Ero una marionetta, da allora sono un uomo».

L’anno dopo, nel 2017, diede l’addio alle scene. Perché? «Mi fermai per chiedermi: “Sei arrivato in cima. E se inizia la discesa come starai?”. Volevo un tempo mio: dovevo imparare a camminare, è stata come una vacanza-studio».

Vacanza meritata: lavorava dal 1989. «Esordii con Vita con i figli, di Dino Risi».

Su quel set c’era la Bellucci. Com’era? «Inguardabile, tanto era bella. Monica fu la conferma di quel che avevo appena capito: se non mi viene di saltare addosso a una donna così, mi dissi, vuol dire che preferisco altro».

Prima di quella conferma ha avuto dei flirt con qualche ragazza? «Sì, ho avuto due o tre storielle etero. A 17 anni mi sono accorto che c’era qualcosa che, per come è fatta questa società, “non andava”. Non è un passaggio facile, è una scoperta che ti “chiude” tantissimo: ed è dannatamente pericoloso, perché puoi incontrare qualcuno che sfrutta quel tuo momento di debolezza. Sei totalmente da solo a dover affrontare questo mostro che ti sta uscendo da dentro… Oggi, forse, è diverso, più facile. Anche se tutta ‘sta differenza non la vedo: la differenza vera si vedrà quando non ci sarà bisogno di fare coming out. Quando quelle due parole – venire fuori – ci suoneranno ridicole: quale crimine ho commesso, per dovermi costituire?».

Dopo Risi ha fatto il modello. «Cose piccole, sfilate di paese. In una di quelle occasioni, il tizio che mi stava accompagnando e mi faceva da agente si fermò a metà tragitto, e disse che doveva passare a salutare degli amici che stavano cenando in un appartamento di Asti. Mi pregò di salire, ma non c’era nessuno».

Un’imboscata. «Mi saltò addosso. Mi salvai perché nel pericolo tiro fuori una strana freddezza. Trovai un varco in quel flusso di spavento e di orrore, e gli dissi: “Sono minorenne!”. Mi lasciò scappare».

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Nel 1991 vinse Il più bello d’Italia. «Mi fermarono per strada, a Torino, e mi chiesero se volevo partecipare. Dissi: “Manco morto”. Poi pensai che almeno sarebbe stata una vetrina: non c’era Instagram, all’epoca, per farti vedere dovevi andare a bussare alle porte».

Che esperienza fu? «Surreale. Io, che sono timidissimo, improvvisai una cosa a metà tra la sfilata e lo striptease. Solo che non mi accorsi che il palco stava finendo, rischiai di cadere sulla giuria».

Presieduta da Marina Ripa di Meana. «Che mi chiamò per il suo film Cattive ragazze, ma dovetti partire per il militare che, lo dico sapendo che verrò lapidato, vorrei tornasse obbligatorio. Io lo feci da carabiniere, fu un anno felice».

Uno spartiacque. «Sì, perché poi mi trasferii a Roma. Ricordo la sera prima della partenza: in discoteca a Torino, con gli amici. Ci mettemmo in cerchio, mano nella mano, e cantammo a squarciagola Vita spericolata. È l’ultima cosa che ho fatto con spensieratezza. Avevo 18 anni».

Iniziò la sua seconda vita «Partivo da Torino “iper tranquillo”, io mi ero accettato, la mia famiglia idem. A casa si parlava in libertà di sesso, e i miei mi dissero: “L’importante è che tu sia felice”. Ma per la società, e per il lavoro che intendevo fare, mi sono dovuto richiudere. Fu tremendo, ma inevitabile».

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Perché inevitabile? «Se bruci dal desiderio di recitare, ti entra dentro la convinzione che alcune cose le devi nascondere. Molti mi dicono: “Non è giusto, ci hai preso in giro”».

E lei cosa risponde? «La verità. Che c’è solo una persona che ho preso in giro: me stesso».

Le fan come hanno reagito? Lei è stato per lungo tempo un incomparabile oggetto del desiderio. «Non è cambiato niente. Mi saltano ancora addosso. Sarebbe stupido il contrario: ho detto che sono gay, mica che ho la lebbra. Mi divertono, i loro assalti mi fanno piacere. Qualcuna pensa di potermi convertire, qualcuna lo fa per gioco o per passione»

Ha lavorato anche per Tinto Brass in Senso 45. «Il provino più divertente della mia carriera. A un certo punto del colloquio, dal nulla, Tinto mi ha detto: “Fammi vedere il culo” (Garko imita alla perfezione la voce e l’accento di Brass, ndr). Io sono rimasto di sasso, ma il modo in cui me l’ha detto ha abbattuto tutte le barriere. Mi sono girato e ho tirato giù i jeans».

E Tinto? «“Ora fammi vedere il pisello”. Io avevo già i pantaloni abbassati e mi sono ri-girato. Da quel provino ho imparato una cosa fondamentale».

Quale? «Che il sesso va vissuto così, come lo vede Tinto, in una cornice naturale, semplice, divertente. Noi abbiamo questa voglia di etichettare tutto, ma l’etichetta si mette solo alle cose. Le faccio un esempio: a una ragazza “normale” – parola che odio perché viene da norma, e cioè regola – può “partire la brocca” per un’altra ragazza. Poi magari finisce, e si innamora un’altra volta di un uomo. Sa come chiamerebbero quella ragazza? Lesbica. Invece siamo tutti fluidi, a qualunque uomo è successo di provare qualcosa per un amico. Solo che ti freni molto prima perché te lo impone la società»

Con L’onore e il rispetto, nel 2006, la sua popolarità raggiunse l’apice. «Non me lo sono mai goduto, il successo. Non me ne sono proprio reso conto: ero così preso dal set, e dal proteggermi per non essere scoperto… Nascondermi è stato un altro lavoro. La cosa che posso dirle è che la qualità della mia vita peggiorò. Mi chiudevo qui, a guardare La carica dei 101. Non rinnego nulla, ma si immagini un uomo giovane, in giro per l’Italia, con le guardie del corpo, la folla che strepita, ragazze e ragazzi che urlano il suo nome. E poi pensi alla scena immediatamente successiva».

Com’è? «Sei da solo, in una camera d’albergo, col telecomando in mano. C’è una “forbice” così devastante tra quel che vuoi e quel che puoi fare».

Lei cosa desiderava? «Uscire, divertirmi, avere un compagno. Ma non puoi, perché devi mantenere il personaggio, che è il tuo opposto: duro, inaccessibile, sciupafemmine. È come girare una scena al mare, col sole: chi guarda vede tutto bello, ma tu che sei lì sai che è marzo. Fa freddo, stai male, però ti butti lo stesso in acqua. È durata 30 anni, questa “condanna”: quasi un ergastolo».

Perché non ha mollato prima? «Perché ho il senso del sacrificio e una pazienza infinita. E ambizione, ma è stato più un portare avanti il lavoro, come uno che sta chino sui libri. Finché giravo, mi sentivo da dio. Ma ero isolato, fuori dalla realtà. Un giorno mi sono guardato allo specchio, e al posto della mia faccia ho visto la copertina di un rotocalco che celebrava uno dei miei amori inventati».

La Arcuri è ancora convinta che la storia tra voi due sia stata vera, e passionale. «Non vorrei parlare di Manuela. Non si è ancora liberata da certi condizionamenti. Spero lo faccia presto».

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Ora come sta? «Bene, ma mi sto ancora assestando. Ho sempre messo davanti a me il personaggio Garko, perché ho sempre pensato che fosse migliore di me. Ora ho capito che sono meglio io: sono più “vario”, ho più colori».

Selvaggia Lucarelli ha scritto che per fare coming out al Gf vip lei ha preteso 30 mila euro. «Per il coming out avrei potuto chiedere un “botto” di soldi in più, ma ho preso il cachet che prendo sempre quando vado in televisione: anzi, di meno perché la pandemia ha imposto dei tagli consistenti».

Ha paura che la sua carriera di sex symbol televisivo sia finita? «No, perché i copioni continuano ad arrivare, anche con quel ruolo di macho. Che differenza c’è se sei etero o gay? Perché un attore etero che fa il gay è bravissimo, e un attore gay che fa l’etero non è credibile?».

È fidanzato? «Sono single. E penso questo: se da solo sto bene, in coppia devo stare meglio. Di sicuro non metterò sulle copertine la mia vita privata: stavolta sarà amore, non lavoro».

Che regalo vorrebbe per i 50 anni? «Voglio – e uso l’imperativo perché è una parola che ci viene vietata fin da bambini, per castrare i desideri forti – voglio un po’ serenità. Voglio fare il bagno, che ci sia il sole e che sia agosto».

Sulla strada per la stazione di Zagarolo, Garko mi informa che la villa in cui abita era di Angelo Litrico, mitico sarto che nei primi anni ‘60 vestì sia John Kennedy sia Nikita Kruscev. «Che ne sa, magari li ha messi d’accordo lui, gli americani e i sovietici, e se non scoppiò la guerra il merito è suo». Per scherzo gli suggerisco di organizzare a casa sua un summit tra Putin e Biden. Garko si tira giù gli occhiali da sole e ride: «Sa come mi tratterebbe Putin, ora che sono frocio!».

Alessandro Penna

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