(ANSA) – MILANO, 29 OTT – Per Stefano Binda, 54 anni,
accusato e assolto di essere l’omicida di Lidia Macchi, la
21enne trovata morta nel gennaio 1987, violentata e
accoltellata, a Cittiglio (Varese) le questioni giudiziarie non
sono ancora finite. La Procura generale, infatti, ha fatto
ricorso contro il risarcimento di 300mila euro per ingiusta
detenzione affermando che “con i suoi silenzi” Binda avrebbe “contribuito all’errore sulla sua carcerazione”. Lo riporta oggi
il Corriere della Sera.
    Una questione giurisprudenziale di rilievo, dato che “il
fatto che Binda si fosse avvalso più volte della facoltà di non
rispondere è un diritto dell’indagato” e perché la “recente
normativa sulla presunzione d’innocenza ha ribadito che tale
condotta non incide sulla riparazione per ingiusta detenzione”.
    Ma la Procura generale, sulla base di un verdetto di quest’anno
della IV Sezione della Cassazione, ritiene che “la condotta
mendace” negli interrogatori costituisca “condotta fortemente
equivoca” tale, evidentemente, da creare concorso nell’errore.
    Binda è stato condannato all’ergastolo in primo grado nel
2018 a Varese, poi sia in Appello sa in Cassazione è stato
assolto nel merito. In carcere ha trascorso circa tre anni e
mezzo. (ANSA).