Il Cretto di Burri, la più suggestiva opera di land art italiana

Al centro della Sicilia, un enorme labirinto di macerie e cemento ricopre una collina rasa al suolo da un terremoto: è il Cretto di Burri, la più celebre opera di land art italiana, nata dal genio dell’omonimo artista umbro

Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 un violento terremoto colpì la Sicilia occidentale, radendo al suolo Gibellina, piccolo comune nella valle del Belice a poco più di 20 km da Calatafimi. La città nuova fu ricostruita poco distante, e l’allora sindaco del paese, Ludovico Corrao, chiamò a raccolta alcuni tra i più celebri architetti e artisti del tempo per contribuire con le proprie opere alla città d’arte che immaginava di edificare, nel tentativo di sublimare il dolore di una comunità traumatizzata e lacerata.

Tra questi c’era l’artista Alberto Burri, demiurgo della materia, che ideò una colossale opera di land art con la tecnica del cretto, ovvero, nel linguaggio botanico, la “fenditura in senso radiale che si riscontra nei tronchi di alberi piuttosto vecchi” (Treccani). Le macerie della vecchia città furono raccolte e, armate con il cemento, vennero trasformate in un’enorme e omogenea struttura labirintica, posta come un sudario sul lato della piccola collina, a perenne monumento evocativo di quella tragedia. Le faglie, che ricordano le vecchie strade del paese, si stagliano oggi con la loro neutralità ecrù sui colori accesi del cielo e della macchia siciliana circostante.

Un paesaggio evocativo che ogni anno, dalla sua ultimazione nel 2015, richiama turisti, curiosi e fotografi, come l’italo-tedesco Daniel Farò, che ne ha immortalato lo scenario metafisico cogliendone a pieno la potenza visiva ed evocativa.

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