Ayrton Senna: la ricostruzione del dramma a 25 anni dalla tragica scomparsa

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Ieri, primo maggio, ricorreva il venticinquesimo anno della morte di un pilota, un campione, ma soprattutto un uomo. Un uomo vero, forte, ma anche fragile ed emotivo. Dopo tanto tempo un doveroso ricordo per Ayrton Senna.

C’è qualcosa che va oltre i tre titoli mondiali, le 41 vittorie, le 65 pole, quella straordinaria tensione agonistica che gli permise di vincere quando avrebbe dovuto perdere; di correre contro, ad ogni costo, quando avrebbe potuto e dovuto rispettare regole e avversari.

C’è qualcosa che va oltre quella morte così brutale, teletrasmessa, inaccettabile, che lo portò via 25 anni fa (1°maggio 1994) dentro il fine settimana più drammatico e crudele mandato a memoria. C’è qualcosa che va oltre il suo volto di allora, “frizzato” per sempre, come accade quando un uomo, un personaggio, un simbolo, si trasforma in un eroe giovane e bello da celebrare all’infinito.

Incontrare ancora oggi Ayrton Senna nelle nostre giornate, nei nostri ricordi, nella nostra passione, significa avere a che fare con un rapporto complesso, qualcosa che, certo, coinvolge chi segue le corse ma non soltanto; che ripristina le immagini ultime e drammatiche di una fine tragica ma non soltanto.

Un pilota, un campione, ovviamente. Ma qui abbiamo avuto una persona che riuscì in modo suo soltanto a comunicare con altre persone. Il significato di una affezione forte e rilanciata giorno dopo giorno, sta — paradossalmente — in un ambito non esclusivamente o per nulla agonistico, dove chi corre si mantiene ad una distanza siderale da chi guarda, in grado com’è di compiere gesti inaccessibili, lontani appunto dalle nostre mani, dalle nostre abitudini, dal quotidiano.

Ammiriamo i campioni in quanto produttori di assoluto, di gesti eclatanti. Se però una di queste figure, all’improvviso, manifesta un tratto più riconoscibile, decifrabile e comprensibile, accade qualcosa di straordinario. Quello là, quel fenomeno irraggiungibile, ci somiglia. Sente e manifesta una debolezza, una commozione, un cono d’ombra come capita a ciascuno di noi. Il che annulla d’incanto ogni distanza e permette una frequentazione inattesa e preziosissima. Ciò che innesca una comprensione, un conforto, nella luce straordinaria dell’umanità.

LA CARRIERA

Senna intese la sua carriera come una specie di missione. Un monaco da pista, perennemente dedicato a cercare una qualità alta del proprio fare. Era una bisogno primario per lui, l’unico modo, crediamo, per restituire ciò che aveva ricevuto in termini di talento e opportunità.

“Opportunità” fu una parola cara ad Ayrton, non a caso di offrire una opportunità a chi altrimenti non ne avrebbe si occupa da allora la Fondazione che porta il suo nome. Brasile, intendiamoci. Un luogo dove la miseria, l’assenza di mezzi propone immagini inevitabili. E indimenticabili per chi ha la sensibilità per osservare e la capacità di riflettere, di porsi nel mondo come parte in causa. Dunque, responsabile e costretto a fare conti più ampi di quelli proposti dal cronometro, da una classifica. Conti non sempre a posto, ostentati come contraddizioni proprie o altrui, come un compendio amaro alle gioia propria e altrui, dettata da un successo.

Senna vinceva, piangeva, litigava, ammetteva, parlava delle lacrime, dei propri sentimenti, esponeva un’anima spesso tormentata. Parlava di Dio, come se fosse a sua volta un compagno, un giudice. Ed era così consapevole dei propri sacrifici, da convincerlo per poi tirarlo dalla sua parte anche quando il suo punto di vista conteneva un diritto assai discutibile. Il che, ancora una volta, fa pensare ai nostri inciampi, alle attenuanti che sappiamo trovare per proteggerci, per darci ragione, per riguadagnare una pace.

Questo abbiamo avuto e questo abbiamo. Uno straordinario compagno di viaggio. Il cui valore emerge e si rafforza talvolta quando ci accorgiamo di averlo perduto. Non importa compararlo ad altri grandi della velocità, non è sufficiente conteggiare imprese comunque memorabili. Nel dolore di quella morte improvvisa e inattesa c’è la fine di un’avventura preziosa e per molti versi unica.

C’è, infine, il desiderio di non dimenticare per non scordare la parte di noi stessi che dell’anima, di un anima esposta ha bisogno per contrastare uno spaventoso, crescente, insopportabile senso di solitudine.

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NelloPaolo Pignalosa

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