Novel food, l’invasione degli insetti

Insetti

Antipasto: camole in pastella. Primi: zuppa di maggiolini e risotto alle blatte. Secondi: spiedini di grilli e cavallette fritte saltate con verdura. Frutta e dessert: ananas con formica amazzonica bagnata nel liquore. Un incubo, per qualcuno. Una strada quasi obbligata per scongiurare la carenza di cibo in un mondo sempre più sovraffollato, per altri. Tra cui, per citarne qualcuno, la Food and Agricolture Organization, organo delle Nazioni Unite, che ha indicato il consumo di insetti come una delle soluzioni per mitigare a un sol tempo il problema della scarsità di risorse alimentari e quello delle emissioni di gas serra e del consumo di acqua legati agli allevamenti intensivi. Ma anche la Coldiretti, che ha annunciato l’applicazione del nuovo regolamento dell’Unione Europea sui “novel food” (leggi: insetti, ma non solo), che “permetterà di riconoscere gli insetti interi sia come nuovi alimenti che come prodotti tradizionali da paesi terzi, aprendo di fatto alla loro produzione e vendita anche in Italia”.

Nel frattempo, un nuovo metastudio, coordinato da Ole Mouritsen del Department of Food Science alla University of Copenhagen, che, alla luce della sempre crescente difficoltà di produzione di cibo, specie a causa dei cambiamenti climatici in atto, “presenta sorgenti alternative per proteine e grassi acidi”, concentrandosi soprattutto su alghe e cefalopodi. Un altro studio, meno recente, a firma di un’équipe di scienziati della University of Nottingham, nel Regno Unito, e di altri istituti di ricerca ha esplorato “la storia, la cultura e gli usi relativi alla coltivazione e al consumo di insetti, i benefici nutrizionali e ambientali dell’entomofagia, le barriere che ancora ne impediscono l’adozione e i passi necessari a superarla”, evidenziandone anche “le sfide ancora aperta a causa della mancanza di ricerca sul tema”. Proviamo allora a ripercorrere i punti chiave della faccenda, cercando di lasciare da parte le considerazioni (soggettive) su gusto e ribrezzo nei confronti degli insetti.

Entomofagico sarai tu

Come spiegato da Simone Belluco, dell’Università di Padova, che si è occupato estensivamente dell’argomento, ricostruire le origini e le radici storiche dell’entomofagia, soprattutto perché la pratica sembra essere iniziata al di fuori dell’Europa, in aree di cui abbiamo poche testimonianze se non quelle degli stessi esploratori europei. Che la vedevano con disgusto – nei pochi documenti si parla di fetore nauseante – e la accostavano a condizioni di particolare povertà piuttosto che a una reale scelta alimentare, il che ha portato, probabilmente, le popolazioni entomofagiche a celare la propria abitudine. In ogni caso, sembra che già le popolazioni asiatiche del quarto millennio avanti Cristo allevassero il baco da seta a fini alimentari ancora prima della scoperta della seta; nel secondo millennio avanti Cristo, diverse testimonianze suggeriscono che le cavallette fossero il cibo preferito dei sovrani della Siria. E ancora: Plinio, nella sua Naturalis Historia, parla di consumo di larve di insetti ingrassate in farina e vino.

La riscoperta

Nel XVI secolo il consumo di larve è attesto in Cina, in America Latina e in Africa – dove, in particolare, lumache, bruchi, cavallette, cicale, termiti, vermi, scarabei e simili sono definiti non solo necessari ma prelibati. Il mondo occidentale comincia però a interrogarsi seriamente sulla possibilità di nutrirsi di insetti solo verso la fine del XIX secolo, con la pubblicazione, da parte di Vincent Holst, di un pamphlet dal titolo Why not eat insect, in cui l’autore introduce il concetto di clean-feeder (nutrizione pulita), suggerendo di iniziare a mangiare specie che si nutrono solo di vegetali, e che quindi non hanno ragioni per disgustare eventuali consumatori. Le argomentazioni sono le stesse portate oggi dai sostenitori del consumo di insetti: se non ci disgusta nutrirci di anguille e crostacei – gli spazzini del mare, come anche polpi, seppie, ostriche – perché dovremmo disgustarci proprio degli insetti?

Più di un insetto nel piatto

In tempi più recenti, il consumo di insetti è ulteriormente aumentato. “Le specie più comunemente consumate sono legate alla loro diffusione e alla loro disponibilità”, spiegano gli autori del lavoro appena pubblicato. “Gli animali, infatti, devono essere abbastanza grandi da valere lo sforzo necessario a coltivarli o catturarli, e devono essere facili da localizzare, preferibilmente in grandi quantità”. Gli insetti più popolari per il consumo, stando allo studio, sono coleotteri (31%), bruchi (18%), api, vespe e formiche (14%), cavallette, locuste e grilli (13%), a seguire, cicale, termiti, libellule e mosche. Animaletti che vengono consumati “a vari stadi della loro vita e con numerosi metodi di preparazione: crudi, fritti, bolliti, arrostiti o macinati”. In totale, dice la Fao, nel mondo si consumano oggi più di 1900 specie di insetti.

Nutrienti, ma faranno veramente bene?

Stando agli esperti, le proprietà nutritive degli insetti sono considerevoli: forniscono proteine di alta qualità e nutrienti paragonabili a quelli ricavati dalla carne e dal pesce. E ancora: sono ricchi di acidi grassi, fibre e micronutrienti come rame, ferro, manganese, magnesio, fosforo, selenio e zinco; inoltre, presentano un basso rischio di trasmissione di zoonosi (malattie trasmesse dagli animali all’essere umano) come l’H1N1 (influenza aviaria) o la famosa malattia della mucca pazza e, naturalmente, il Covid-19.

C’è, però, anche un rovescio della medaglia: gli autori dell’articolo appena pubblicato sottolineano che è ancora da indagare la possibilità che gli insetti abbiano proprietà “anti-nutritive” e il rischio di eventuali allergeni. La preoccupazione principale riguarda la chitina, sostanza presente nell’esoscheletro degli insetti, relativamente alla quale uno studio ha paventato un possibile effetto negativo sulla digestione delle proteine. Gli studi preliminari su altri composti contenuti negli insetti (in particolare idrocianuro, ossalato, fitato, fenolo e tannini) sembrano indicare che le loro concentrazioni sono ben al di sotto dei livelli di tossicità per il consumo umano. C’è da dire, comunque, che “non sono stati ancora condotti abbastanza trial sugli esseri umani per poter dare delle linee guida definitive sugli insetti come fonte di nutrizione adatta e completa”.

L’impatto ambientale

Gli insetti hanno un’alta efficienza di conversione nutrizionale, dal momento che si tratta di animali a sangue freddo. Per capire di cosa parliamo: un bovino necessita di circa 8 kg di cibo per aumentare di un chilogrammo il proprio peso corporeo; gli insetti, in media, sono in grado di convertire 2 kg di cibo in un chilogrammo di massa. E ancora: i suini producono, sempre in media, da dieci a cento volte più gas serra per chilogrammo di peso rispetto a quelli prodotti, per esempio, dalle camole della farina. Inoltre, gli insetti sono in grado di nutrirsi di rifiuti organici (resti di cibo, compost, liquami animali, per esempio) e trasformali in proteine di alta qualità; utilizzano meno acqua del bestiame convenzionale; necessitano di meno spazio e terreno rispetto al bestiame convenzionale. Tutti elementi che li rendono, secondo gli esperti, promettenti come cibi sostenibili del futuro.

Credits immagine: Unsplash

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