La grande corsa all’oro verso la fusione nucleare

Sempre più aziende investono, insieme ai governi, nella nuova tecnologia dell’atomo e crescono le startup. Ricadute in campo energetico ma non solo. L’Italia in prima fila con il Dtt

Fusione nucleare
Foto: Alcator C-Mod

Replicare il motore del Sole sulla Terra. La ricerca sulla fusione nucleare punta a imitare il processo che alimenta le stelle, generando enormi quantità di energia ma senza il prezzo di scorie radioattive da smaltire e gas serra emessi nell’atmosfera. Quasi una pietra filosofale per governi e aziende, stretti tra una richiesta di elettricità senza fondo e l’allarme sulle conseguenze ambientali. Per questo la corsa alla fusione nucleare attira un numero crescente di concorrenti e di investimenti. Più che una gara di velocità, è una maratona, dato che il traguardo è fissato al 2050. Anche se c’è chi tenta lo scatto. Come Commonwealth fusion systems (Cfs), costola del Massachusetts institute of technology (Mit) di Boston, che a fine settembre ha annunciato di voler accendere il primo reattore già nel prossimo decennio.

Certo i prossimi anni saranno rivelatori. A Naka, Giappone, si lavora al JT-60Sa, uno dei tre impianti tandem tra Tokyo e Unione europea. In Cina i progetti bandiera sono due: East (Experimental advanced superconducting tokamak), che ha raggiunto i 100 milioni di gradi di temperatura, e Cfetr (China fusion engineering test reactor), la cui costruzione inizierà dovrebbe iniziare l’anno prossimo.

Nel 2025 si prevede l’accensione dell’International thermonuclear experimental reactor (Iter), il colossale progetto per la costruzione di una speciale macchina a forma di ciambella, detta tokamak, nel centro di ricerca di Cadarache,  40 chilometri a nord-est di Aix-en-Provence. Costo stimato: 22 miliardi di euro, finanziati per il 45% dall’Unione europea e per la restante parte, in quote uguali, da Stati Uniti, Cina, Corea del sud, Giappone, India e Russia. Nel 2026 sarà la volta del tokamak made in Italy, il Dtt (acronimo di Divertor tokamak test). Nei laboratori dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), è iniziato il conto alla rovescia. A Frascati, area dei Castelli romani, già si lavora alla realizzazione del Centro italiano per la fusione nucleare, dove si studierà la nuova frontiera della ricerca sull’atomo. Il governo inglese si è dato tempo fino al 2040 per costruire un prototipo di centrale a fusione. Investimento: 220 milioni di sterline. Quello americano lavora anche alla tecnologia laser, mentre la Germania ha ricevuto dall’Europa un 20% di coperture per il suo Wendelstein 7-X Stellarator.

In parallelo ai governi si muovono le aziende. Cfs ha raccolto circa 250 milioni di dollari. Tra i finanziatori, due colossi dell’oil&gas come la norvegese Equinor (ex Statoil) e l’italiana Eni più il papà di Microsoft, Bill Gates. Viaggia sui 192 milioni di dollari di capitali la canadese General fusion, che ha alle spalle il patron di Amazon, Jeff Bezos, e la stessa Microsoft, mentre la californiana Tae technologies, fondata nel 1998, ha raggiunto i 700 milioni. Tra i suoi sostenitori ha la banca Goldman Sachs, il fondo Vulcan del cofondatore di Microsoft, Paul Allen (morto nel 2018), e il governo di Mosca attraverso la società russa di nanotecnologie Rusnano. Due startup inglesi, First light fusion e Tokamak energy, hanno raccolto rispettivamente 23,7 e 77 milioni di sterline, mentre ha raggiunto i 750mila euro la spagnola Advanced ignition.

Come funziona la fusione

La fusione è il procedimento contrario della fissione, finora alla base della produzione di energia atomica. Nella fissione si bombarda il nucleo atomico di un elemento pesante, come l’uranio, che viene disintegrato in frammenti più piccoli, liberando energia. Nel caso della fusione, invece, due nuclei leggeri si uniscono per costituirne uno più pesante, generando energia. Funziona così la reazione nucleare sul sole e sulle stelle, che tanti impianti sperimentali contano di replicare.

Come il Dtt made in Italy. L’operazione vale nel suo complesso circa 600 milioni di euro, mezzo miliardo solo per la macchina. Dalla Banca europea degli investimenti arrivano 250 milioni. Altri 60 li mette la Commissione europea. I ministeri dello Sviluppo economico e dell’Università e ricerca contribuiscono con 40 milioni a testa e la Regione Lazio ha deliberato per ora di spenderne 25, con l’impegno di poter arrivare a un massimo di 59 milioni.

Il Dtt è una delle macchine in costruzione per dimostrare che la fusione è una strada percorribile. Il progetto italiano è legato a doppio filo all’Iter, un programma internazionale che mira a dimostrare la fattibilità tecnico-scientifica della fusione, con l’obiettivo di raggiungere i 500 megawatt di energia elettrica prodotta. A quel punto la palla passerà a una centrale dimostrativa (Demo) per poi procedere alla produzione vera e propria dal 2050.

La sfida italiana

La fusione nucleare è un modo di produrre energia elettrica, inesauribile e che non inquina, perciò è compatibile con lo sviluppo sostenibile”, spiega Giuseppe Mazzitelli, responsabile per Enea della divisione tecnologie per la fusione. “Si parte da una miscela di deuterio e trizio. In 500 litri di acqua di mare c’è la quantità di deuterio per l’intero fabbisogno energetico di vita di un cittadino medio europeo, circa 16 grammi. Il trizio, invece, è un isotopo con un decadimento di circa 13 anni”. Per questo, il trizio va creato. Una delle strade è quella di creare la “miccia” dal materiale di fissione di un reattore e di utilizzare poi, parte del trizio generato nelle future centrali a fusione, per accendere nuove macchine.

La difficoltà è riscaldare la miscela di deuterio e trizio”, prosegue Mazzitelli, per far avvicinare i nuclei che avendo stessa carica elettrica, tendono a respingersi. Servono altissime temperature, nell’ordine dei cento milioni di gradi, per innescare le reazioni nucleari che liberano energia, ma poiché nessun materiale all’interno della camera del reattore è in grado di sopportare temperature cosi elevate, occorre imbrigliarlo mediante un campo magnetico in modo tale che il plasma non sia direttamente a contatto con le pareti del recipiente.

Il Dtt assomiglia a una ciambella schiacciata, simile a una D. Il criostato, che contiene la macchina isolandola dall’ambiente esterno, avrà un raggio di 5 metri per 10 di altezza. All’interno, spiega Mazzitelli, “bobine composte da materiali superconduttori alla temperatura dell’elio liquido, creano un campo magnetico toroidale”. L’obiettivo è limitare la dissipazione e rendere il prototipo più efficiente. I 26 chilometri di cavi conduttori in niobio e stagno e i 16 in niobio e titanio, vicinissimi alla camera dove 33 metri quadri di plasma vengono riscaldati fino a 100 milioni di gradi, si terranno invece a meno 269 gradi centigradi. E non c’è il problema dei rifiuti. “Il futuro reattore, dopo il suo spegnimento, ha un’emivita di 50 anni, non produce scorie e quindi non c’è bisogno di un deposito dove conservarle, ma si potrà smontare e riciclare tutti i suoi componenti”, spiega Mazzitelli.

Dtt servirà a studiare soluzioni, anche con l’utilizzo di metalli liquidi come materiali esposti al plasma, per lo smaltimento della potenza che si possano applicare all’impianto Demo in alternativa ai risultati della macchina Iter. “Dtt è più maneggevole ed è più versatile per cui è più semplice cambiare la configurazione magnetica”, osserva Mazzitelli. “Serve a validare una serie di elementi importanti per raggiungere la stabilizzazione del plasma e la generazione di energia elettrica”, gli fa eco Umberto Minopoli, presidente dell’Assocazione italiana nucleare (Ain).

La filiera del made in Italy

A coordinare l’operazione è una società consortile, al 74% di Enea (che nel 2019 ha messo a bilancio un budget di 25 milioni) e partecipata anche da Eni (25%) e dal consorzio interuniversitario Create (1%). La prima gara per 100 tonnellate di filo superconduttore è stata vinta da tre aziende da Corea, Stati Uniti e Giappone. “Le più importanti saranno lanciate tra la fine dell’anno e metà 2021”, spiega Mazzitelli, in parallelo al bando di Enea per assumere 150 tra fisici e ingegneri. Nel complesso la stima è di 500 impiegati diretti e 1.500 nell’indotto del Dtt. Posti di lavoro di alta professionalità, che rimetteranno al centro degli studi sul nucleare l’Italia. “Le centrali a fissione hanno una storia di un secolo, ma l’Italia sta perdendo le capacità che aveva accumulato dopo l’uscita con il referendum del 1987”, osserva Minopoli: “La fusione richiede competenze diverse, a cui l’Italia non è estranea”.

Aziende del Belpaese, d’altronde, stanno fornendo pezzi strategici per l’Iter, aggiudicandosi circa metà dei 2,4 miliardi di appalti finora assegnati, 900 a inizio 2019 da parte dell’agenzia comunitaria Fusion for energy. Parliamo di giganti come Fincantieri, Ansaldo Energia, Vitrociset (controllata dal campione della difesa, Leonardo) e aziende specializzate come Asg Superconductors e Walter Tosto. Per Mazzitelli, le opportunità non si esauriscono solo nelle forniture del reattore: “Queste tecnologie innovative possono essere esportate in altri settori, dalla cantieristica alla medicina”.

Non a caso l’industria dell’oil&gas guarda con interesse alla fusione. “Si inquadra nella visione strategica di Eni per la trasformazione del mondo dell’energia dato che si tratta di una forma di energia sicura, pulita, a zero emissioni di CO2 e a bassissimo consumo di fuel. È un tema complesso, che possiamo affrontare grazie al know-how industriale, ingegneristico e le competenze nella gestione di grandi progetti”, commenta Francesca Ferrazza, responsabile ricerca e sviluppo decarbonizzazione e ambiente di Eni. Il gigante dell’energia si occuperà anche di sviluppare alcune componenti.

Noi siamo stati first mover dal punto di vista dell’industria energetica – osserva Ferrazza -. Equinor ha investito nella nostra stessa startup (Cfs, ndr) e Chevron in un’altra iniziativa”. D’altronde, spiega, anche se i dati sono ancora privati “le proiezioni del costo dell’energia a vita intera indicano come la fusione abbia un costo inferiore a qualsiasi altra fonte”. Il reattore di Cfs e del Mit, Sparc, raggiungerà i 270 megawatt di produzione, sufficienti per alimentare il fabbisogno di 100mila abitazioni. “E le future centrali non richiederanno neanche un adeguamento della rete”, chiosa Ferrazza. Da un lato la fusione assicurerà una nuove fonte per il mix energetico, “con investimenti importanti che si ripagheranno in tempi abbastanza brevi”, commenta la manager di Eni. Dall’altro fornirà conoscenze e tecnologie da applicare anche agli altri settori. Tanto che sono 26 al momento le aziende private che sviluppano progetti per reattori a fusione. La stima è che abbiano investito nel complesso 2 miliardi di dollari.

Le ricadute economiche

Un’analisi del centro studi Trinomics su Iter calcolava nel 2018 un valore aggiunto lordo di 4,8 miliardi di euro nel decennio 2008-2017, contro i 5,1 spesi, e 34mila posti di lavoro creati. E che gli effetti non si limitavano al solo sito di Cadarache, ma si diramavano in avanzamenti tecnologici per le aziende coinvolte, sinergie tra settori, nuove occasioni di business. Sono dati a sostegno di un’operazione che, nonostante la promessa di energia illimitata e pulita, ha subito numerosi rallentamenti e costa quasi quattro volte i preventivi iniziali. Ma che, per ogni euro investito, ne genera uno in ricadute dirette e due in quelle indirette. Nel periodo 2018-20 Trinomics stima un impatto di 15,9 miliardi e 72.400 posti di lavoro generati per realizzare quello che sarà il più grande tokamak al mono, 30 metri di altezza per 30 di diametro e 23mila tonnellate di peso.

La prova si gioca sulle grandi distanze e l’Italia punta a giocare la sua partita. Perché il Dtt parta ufficialmente, ora manca solo il via libera dell’autorità. Al ministero dello Sviluppo economico spetta accendere il semaforo verde, dopo aver raccolto i pareti dei vari enti che hanno voce in capitolo. Tra cui l’Isin, l’Ispettorato per la sicurezza nucleare, che ha confermato a Wired di aver ricevuto la pratica da Enea a fine agosto e di completare l’iter a stretto giro.

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