La dismorfia da Zoom ci segue anche nel mondo reale

Diciotto mesi di utilizzo di videocamere frontali ci hanno restituito un’immagine deformata di noi stessi e molti ricorrono alla chirurgia estetica per correggere i difetti visti in call

Foto: Gabriel Benois on Unsplash

L’estate scorsa, quando gli studi medici hanno cautamente riaperto, la dermatologa Shadi Kourosh  ha notato un trend allarmante: un picco nelle richieste di appuntamenti per questioni puramente estetiche. Secondo la dottoressa Kourosh, “in tempi come questi, durante i quali dovrebbero essere ben altri i problemi a occupare la nostra mente, molte persone manifestano un concreto turbamento nei confronti del proprio aspetto”.

Kourosh, ricercatrice presso la Facoltà di Medicina di Harvard, si è resa conto rapidamente che altri nel suo stesso campo – o in settori analoghi come quello della chirurgia plastica – hanno registrato un fenomeno simile. Quando lei e i suoi colleghi hanno chiesto ai pazienti cosa avesse fatto scattare la loro decisione di sottoporsi a trattamenti, molto di questi hanno citato le videoconferenze. La pandemia li ha catapultati nel mondo di Zoom fatto di videochiamate, e fissare il proprio volto su uno schermo tutto il giorno ha creato un rapporto conflittuale con la propria immagine.

Nell’era di Zoom, molti hanno cominciato a preoccuparsi eccessivamente del tessuto rilassato intorno al mento e alla mascella, della forma e delle dimensioni del naso, del pallore dell’incarnato. Richiedono interventi cosmetici che vanno dalle iniezioni di botox ai filler fino ai lifting facciali e alla rinoplastica. Kourosh e i suoi colleghi hanno intervistato dottori e chirurghi, prendendo in esame il quesito riguardante la possibilità che le videoconferenze durante la pandemia abbiano contributo all’insorgere del disturbo da dismorfismo corporeo. L’hanno battezzato dismorfia da Zoom”.

Ora che l’aumento del numero di persone vaccinate sembra spingere la pandemia alla ritirata, una nuova ricerca del team di Kourosh a Harvard ha rivelato che la dismorfia da Zoom non sta regredendo. Un’indagine su più di settemila persone suggerisce che le cicatrici mentali impresse dal Coronavirus resteranno con noi ancora per un po’ di tempo.

Kourosh ricorda come, anche prima dell’avvento del Covid, i chirurghi plastici e i dermatologi avessero osservato un aumento dei pazienti che si recavano da loro con richieste “irrealistiche e innaturali”. Il termine “dismorfia da Snapchat” era stata coniata nel 2015 per descrivere il numero in aumento di individui desiderosi di apparire nella realtà come attraverso un filtro, di avere un volto caratterizzato da occhi giganteschi e incarnato scintillante.

In precedenza, i pazienti andavano negli studi dei chirurghi plastici con le foto ritagliate da una rivista di una celebrità alla quale volevano somigliare. Anche prima della diffusione dei social media, gli psicologi avevano osservato che le persone con l’abitudine di fissarsi allo specchio diventavano più maniacali con il proprio aspetto.

Tuttavia, la dismorfia da Zoom è diversa. A differenza di Snapchat – caso nel quale le persone erano consapevoli di vedere sé stesse attraverso un filtro –, le videoconferenze deformano il nostro aspetto in modi di cui non siamo necessariamente in grado di renderci conto, un’eventualità identificata da Kourosh e dai suoi colleghi e citato nel loro studio.  

Kourosh spiega che le videocamere frontali deformano l’immagine come gli “specchi del Luna Park”; facendo sembrare il naso più grosso e gli occhi più piccoli. Questo effetto è esacerbato dalla prossimità della lente, più vicina al volto rispetto a quanto si troverebbe abitualmente l’interlocutore nella realtà. Guardando in basso verso la videocamera dello smartphone o del computer significa offrirsi all’angolazione meno lusinghiera possibile. Chiunque sia nato nella generazione di Myspace può spiegarvi che la posizione migliore in cui piazzare la videocamera è dall’alto, da qui l’onnipresenza dei selfie stick.

Solitamente vediamo il nostro riflesso quando abbiamo un volto rilassato: le videoconferenze di Zoom invece, alterano la nostra immagine mostrandoci espressioni accigliate o annoiate, molto meno attraenti di quello che siamo abituati a vedere nello specchio. “I mutamenti nell’autopercezione e l’ansia generata dall’esperienza costante della videoconferenza può spingere alcuni verso procedure cosmetiche non necessarie, specialmente i giovani che patiscono un’esposizione maggiore sulle piattaforme on-line – tra videoconferenze, social media e filtri – durante la pandemia”, scrivono Kourosh, Channi Silence e altri colleghi.

Il termine “dismorfia da Zoom” è stato adottato dai media internazionali e Shadi Kourosh è stata sommersa dalle email di amici e sconosciuti che ne sono rimasti colpiti. Nello studio successivo, che verrà pubblicato sull’International Journal of Women’s Dermatology, il team di ricercatori spiegherà che su settemila persone intervistate, il 71% era ansioso o stressato all’idea di tornare a interagire di persona, e che quasi il 64% aveva cercato sostegno per la propria salute mentale.

Tre persone su dieci affermano di aver pianificato un investimento sul proprio aspetto come strategia per affrontare il ritorno alle interazioni dal vivo. Si sono detti angustiati, soprattutto, per quanto riguarda l’aumento di peso, le alterazioni della cute, le rughe e l’acne, tutte preoccupazioni che possono essere state esacerbate dal tempo speso su Zoom. “Chi ha trascorso più tempo sulla piattaforma ha una percezione di sé e del proprio aspetto più distorta” afferma Kourosh. Chi ha passato più ore guardandosi nello “specchio tecnologico” ha espresso l’ansia maggiore; i giovani di età compresa tra i 18 e 24 anni che fanno ricorso ai filtri sono quelli che hanno le maggiori probabilità di ricorrere a cure per la propria salute mentale.

Durante la pandemia, la “casa degli specchi” di Zoom ha deformato la nostra immagine riflessa, e al tempo stesso, ci ha bombardati con le immagini modificate di social media e televisione, questo nonostante vivessimo in reclusione. Questi fattori, combinati tra loro, hanno avuto un impatto deleterio sull’autopercezione, sui livelli di ansia e sulla salute mentale, fenomeni destinati a non andarsene facilmente.

Secondo Kourosh, il modo migliore per combattere la dismorfia da Zoom è attraverso la consapevolezza. La dermatologa afferma di aver ricevuto un numero strabiliante di commenti da persone che affermavano di essersi sentite le uniche, durante la pandemia, a covare la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato nel loro aspetto. “Molti stanno patendo in silenzio l’impatto negativo sulla propria psiche” ha rivelato Koroush, aggiungendo che in questo momento la cosa più importante è “aiutare le persone a capire che non sono sole”.

Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Wired Uk

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